La vendetta di un uomo tranquillo
L'esordio di genere firmato da Raúl Arévalo vola alto quando curva le traiettorie lineari della vendetta, consentendo allo spettatore di penetrare la solitudine dei personaggi.
La vendetta di un uomo tranquillo, debutto alla regia di Raul Arevalo, ha inizio sotto il segno di una rapina. Il punto di vista della scena stabilisce una prima discrasia tra ciò di cui viene messo al corrente lo spettatore e le azioni di cui, invece, si rendono protagonisti i personaggi. Un’automobile parte e la frenesia degli eventi è moltiplicata dalle urla di un gruppo di rapinatori, che si trova a fuggire dalla polizia tra le strade di Madrid. Un lieve scarto verso sinistra rende impossibile notare il rapido avvicinamento di un altro veicolo che tampona bruscamente il primo. L’autista del gruppo scende e viene immediatamente atterrato dalla polizia. Il primo capitolo è archiviato.
Il 2014 è stato l’anno di True Detective e di La isla minima, due prodotti speculari che mettono in scena l’oscurità di un grembo materno non più in grado di proteggere. Della lezione di Alberto Rodriguez ha fatto tesoro proprio Raul Arevalo, il Rustin Cohle spagnolo, già visto alle prese, in tutta la sua gaudente omosessualità, con un aereo di linea che, nel 2012, continuava a planare più per inerzia che per altro, impossibilitato ad atterrare senza compromettere la propria struttura.
La vendetta di un uomo tranquillo è un diario segreto redatto con il sangue e il dolore. E, come ogni diario segreto, vive della soggettività del suo proprietario, mantenendosi impermeabile a qualsivoglia agente esterno. Jose è un uomo solitario e riservato che bazzica il bar di un quartiere madrileno, apparentemente interessato alla sua proprietaria, Ana. La ragazza è la donna di Curro, quell’autista che, a inizio film, guidava l’automobile in fuga dopo una rapina per la quale ha scontato otto anni di detenzione. Cosa collega Jose a Curro e quali sono le variabili non ancora contemplate?
Le conseguenze dell’amore, o quel «Noi possiamo chiudere con il passato ma il passato non chiude con noi» sentenziato da Jimmy Gator di Magnolia. Perché il film di Arevalo è una progressiva dischiusura di un passato relegato al fuori campo di un VHS nascosto e colto dallo sguardo oggettivo di una videocamera di sorveglianza. E questa costruzione, accompagnata dalla modalità di ripresa della prima sequenza, funge da manifesto programmatico dell’intero film. L’approccio di Arevalo è asciutto e secco come solo uno sguardo impersonale sa essere. Ma, allo stesso tempo, regala attimi di apertura totale che solo un punto di vista mediato ed alimentato da una mestizia individuale è in grado di produrre. Le traiettorie lineari subiscono una curvatura non da poco.
Come già detto, la prospettiva scelta dal racconto è di tipo diaristico, idea suffragata dalla scansione in capitoli: El bar, La familia, Ana, Curro, La ira. Nella prima parte del film si assiste ad una serie di dinamiche concentrate su un nucleo di persone via via più ristretto, fino al confronto fondamentale tra Jose e Curro, che segna un cambiamento di rotta nella messa in scena applicata. Se fino a quel momento, infatti, Arevalo aveva optato per un ritmo serrato ed essenziale, giocato tutto sugli sguardi e sui tallonamenti dei personaggi, è nel passaggio al road-movie che si dischiudono nuovi ambienti e traiettorie di senso che ossigenano le linee narrative. E allora riusciamo a ridurre la nostra distanza nei confronti dei personaggi del film e a tastare con mano il dolore pulsante delle due solitudini che si riconoscono e si scontrano. E La vendetta di un uomo tranquillo evolve e si trasforma, abbracciando il compimento di un viaggio che, in totale assenza di altro, viene visto come l’unica possibile missione da abbracciare in pieno per ratificare un’esperienza di vita incompiuta. Ma che, grazie ad un ultimo abbraccio, può regalare ancora tanto.