Hostiles - Ostili
Scott Cooper continua la sua personale rievocazione dei generi classici del cinema americano con un viaggio nel cuore di tenebra della frontiera.
«Nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica ed assassina. Finora non si è mai ammorbidita». Iniziare Hostiles – Ostili con un esergo del genere, tratto da D.H. Lawrence, è una sufficiente dichiarazione di intenti, un’attestazione coerente con la personale filmografia di Scott Cooper, sempre impegnato nella rievocazione dei generi classici del cinema americano. Sembra che il regista stia costruendo sempre più la sua carriera nell’ottica di un confronto scolastico con la tradizione, costantemente risolto, finora, senza correre il rischio di caduta o dando seguito a particolari intuizioni personali, con l’ottenimento di un risultato complessivo che fa somigliare ogni suo nuovo film ad un corpo esangue e privo di mordente.
Animato da un evidente affetto nei confronti del materiale di partenza, Cooper maneggia la mitologia dei generi più rodati – fondamentalmente western, noir e gangster movie – forte del valore artigianale che permea il suo lavoro.
Con Hostiles siamo nel New Mexico del 1892. Alla citazione iniziale, che dichiara l’archetipo dell’anima dura americana, succede l’inquadratura di una casa isolata negli sconfinati spazi che si perdono a vista d’occhio. La civilization è attaccata e sterminata dalla wilderness della frontiera: un gruppo di indiani Comanchi brucia la casa ed uccide brutalmente la famiglia che vi abitava. Le scene successive allo stacco di montaggio mostrano il volto granitico di Joe Blocker. Il comandante dell’esercito ha un passato di sangue, ha affrontato diverse volte i nativi e vorrebbe ritirarsi dal suo lavoro, nonostante un’ultima missione da portare a termine. Deve, infatti, scortare fino al Montana il famoso capo Cheyenne Falco Giallo insieme ai suoi figli e ai nipoti. Alla spedizione lungo il cuore dell’America prenderà parte anche Rosalie, l’unica superstite della famiglia trucidata nell’incipit del film.
Il tessuto testuale di Hostiles compie un viaggio lungo il genere western, accumulando e condensando una notevole quantità di magma immaginario e tentando di garantire un futuro ai suoi corpi iconici. In questo atto sincero e commosso, Cooper sfrutta il concetto di viaggio (azione lungo la frontiera) come una spatola con cui incidere il volto desertico e scultoreo dei suoi personaggi. Ad essere abbattuto non è soltanto l’archetipo dell’immagine sanguinaria ed animalesca del nemico, imposta dai ragionamenti di guerra, ma anche quel muro culturale che scricchiola sotto il peso dell’emersione di sensi di colpa ancestrali. L’anima solitaria, dura, stoica ed assassina va incontro ad un arco di trasformazione che ne mostra il bright side.
«Sono stanco, Joe. Dicono che ho la malinconia». È un’affermazione come questa a caricare su di sé l’apertura che ossigena lo sviluppo del racconto. Tra volti ed ambienti arsi dal sole, un dialogo dal tono sommesso e distante, tra Blocker ed un suo sergente, provoca uno squarcio nel buio e restituisce due personaggi che, nell’oscurità dell’età adulta si lasciano andare alla nostalgia dei tempi passati. L’orizzonte malinconico e crepuscolare del post-western innerva il film e lo trasforma in una sfida contemplativa attenta ai chiaroscuri dell’anima, lungo un percorso che riecheggia i lontani echi fordiani fino all’attitudine estetizzante del genere propria degli ultimi decenni.
Nonostante (o, piuttosto, a causa di) quest’improvviso squarcio lirico e l’apertura alle immagini di frontiera – i campi lunghissimi a loro modo infiammano lo schermo con tutta la loro forza iconica – si avverte nel film una meccanicità narrativa di fondo che immola un’adeguata maturazione dei personaggi alla rigidità del racconto, “costretto” ad essere commovente e a generare la quadratura del proprio cerchio in tempi più brevi del necessario. La narrazione procede come un treno in corsa la cui rapidità inficia il potenziale epico del film. Un oggetto filmico del genere avrebbe meritato un trattamento differente volto a mantenersi più vicino al cuore dei suoi personaggi che alla fedeltà del suo apparato.