La prima notte e Il passo

Tra asciutta indagine sociologica e noir visionario, gli inizi della carriera filmica di Giulio Questi in due cortometraggi.

Giulio Questi, che ha esordito nel dopoguerra come documentarista, è noto soprattutto per il western Se sei vivo spara! (1967) e per il successivo La morte ha fatto l’uovo (1968) - con Gina Lollobrigida e Jean-Louis Trintignant – per il quale la critica ha parlato di influenze godardiane; ma prima ancora di approdare al lungometraggio il regista può già vantare collaborazioni con cineasti come Valerio Zurlini, Pietro Germi e Federico Fellini, e – tra le altre cose – la partecipazione a due film a episodi, ovvero Le italiane e l’amore (1961) e Amori pericolosi (1964), che andremo ad analizzare in questa breve riflessione.

Il primo film si ispira a una serie di autentiche lettere raccolte dalla scrittrice e giornalista Gabriella Parca nel libro Le italiane si confessano (1959), con presentazione di Pier Paolo Pasolini e prefazione di Cesare Zavattini; da queste lettere dodici registi traggono altrettanti episodi (l’ultimo, di Piero Nelli, fu tagliato al montaggio) che offrono una – sconfortante - panoramica sull’Italia dell’epoca per quello che riguarda la condizione femminile rispetto ai rapporti con l’altro sesso. Ne viene fuori, insomma, un’accurata radiografia socio-culturale che rivela una situazione piena di profonde contraddizioni e complesse problematiche.

La forma mentis imperante è inevitabilmente quella coercitiva e primitiva del maschilismo: servilismo e sottomissione sono certamente le caratteristiche della sposa ideale, e ogni donna che osi – più o meno consapevolmente – discostarsi da questo stato di cose merita, secondo quest’ottica, di essere punita e condannata. Agli albori dei mutamenti sociali che verranno anticipati e inaugurati dalla benefica ondata del ’68, l‘Italia appare in sostanza ancorata – in questo senso - a una tradizione di pensiero arcaica se non retrograda, dove il maschilismo avalla ogni forma di sopraffazione e giustifica la violenza, implicita o esplicita, che è in fondo non solo accettata, ma radicata in questa dimensione sociale e culturale. Le donne, dal canto loro, più o meno costrette a un’ignoranza che genera insicurezza, non hanno ancora strumenti per opporsi a questo stato di cose.

Ma veniamo all’episodio diretto da Questi, che forse più di altri si fa emblema preciso e inconfutabile di una realtà culturale diffusa. La prima notte racconta infatti di due sposi in viaggio di nozze che, sulla nave che li conduce da Napoli a Palermo, si abbandonano al loro primo, drammatico litigio. I passeggeri della cabina a fianco non possono fare a meno di ascoltare la loro conversazione accesa e “scandalosa”, e il motivo di tante urla è presto detto: l’uomo scopre che la donna, in passato, ha avuto un amante. Il mito della verginità (apice e punto saldo del pensiero maschilista) è tutto qui, nella visione ristretta e incoerente di questo neo-marito offeso dal fatto che la sua sposa abbia osato macchiare la propria purezza: un affronto sconvolgente e impensabile, un’ingiuria impossibile da perdonare.

La regia di Questi è asciutta, tagliente, essenziale; poche immagini studiate con attenzione e una manciata di dialoghi brevi ma pensanti come macigni, dai quali trapelano tutta la morbosità, la prepotenza e il cinismo insultante del “mostruoso” uomo medio. La nave, con i suoi spazi claustrofobici e i suoi martellanti rumori di sottofondo, fa da scenario alla deriva non di un amore, ma di un’intera visione delle cose che denuncia in pochi minuti tutta la sua pochezza e la sua brutalità.

Di tutt’altro tenore è l’episodio Il passo, dal film Amori pericolosi, al quale partecipano – oltre a Questi - Alfredo Giannetti e Carlo Lizzani, ognuno con il proprio contributo. Non siamo più nei pressi dell’indagine sociologica o pseudo-documentaristica, ma nel territorio della pura fiction, tra noir e grand guignol. La vicenda, che anticipa in parte quella del successivo La morte ha fatto l’uovo, è quella di un uomo che medita l’omicidio della propria moglie, claudicante e costretta a portare una sgraziata scarpa ortopedica. Ossessionato dal suono lugubre e sordo del passo di lei, il marito della sventurata Isabel si invaghisce della giovane cameriera Janine, che ha – invece - l’abitudine di girare scalza per la casa, con passetti leggeri e silenziosi. Ma i due crudeli amanti non hanno fatto i conti con la furia di Isabel.

Strizzando l’occhio all’estetica delle avanguardie, Questi stavolta non disdegna – in alcuni passaggi - sperimentazioni stilistiche e aperture all’onirico, in perfetta sintonia con il collaboratore Franco Arcalli, autore del rapido e frammentario montaggio, e con il quale il regista stringerà poi un fertile sodalizio. Palese e rimarcata è l’insistenza non casuale su certe inquadrature: da un lato le scarpe ortopediche, pesanti e massicce, dall’altro i piedi nudi e graziosi, metafora (o meglio sineddoche) di una femminilità provocante e sensuale; allo stesso tema si accorda probabilmente la presenza, in casa di Isabel, di una riproduzione de Lo spinario, che sarà al centro di una delle scene di maggiore tensione drammatica. Cupo e venato d’inquietudine, Il passo è insomma un piccolo racconto coeso, limato e ben curato, che già palesa una certa originalità autoriale.

La versatilità di Questi – che si muove con disinvoltura tra documentario, noir e western – è in definitiva già chiaramente rintracciabile in questi brevi ma significativi brani filmici che aprono, per così dire, il suo lungo percorso di cineasta.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 31/07/2016

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