Via Ippocrate 45: questo il titolo dell’opera vincitrice del Premio Paolo Pincheri come miglior documentario al Video Festival sulla Salute Mentale di Roma “Lo spiraglio”. Il regista del lungometraggio è Alessandro Penta, nuova giovane leva del cinema documentaristico italiano classe 1984. Penta analizza e riporta sullo schermo i temi della salute e della sanità mentale, recandosi di persona con la sua videocamera nell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano, che come tutti gli ex-manicomi italiani aveva cessato la sua attività ospedaliera in causa della nota legge Basaglia emanata nell’ormai lontano 1978, che imponeva la chiusura definitiva di tali strutture.
Alessandro Penta rivela che l’idea per girare questo particolare documentario nacque per caso mentre era all’ascolto di Radio 3, che in quel momento trattava proprio i temi della salute mentale e dei suoi trattamenti, con uno speciale d’approfondimento sull’ex-ospedale psichiatrico Paolo Pini. Da quella trasmissione il regista decide di creare un documentario su questa particolare struttura, la quale nel corso degli anni ha cambiato totalmente la sua funzione. L’ex-ospedale Polo Pini è ora infatti gestito dalla cooperativa Olinda, la quale ben decise di “riplasmare” il luogo convertendolo in un vero e proprio centro di scambio culturale e di accoglienza.
Vediamo in questo modo come quello che un tempo era un convitto di suore diventa un ostello; come una semplice mensa ospedaliera diventa un teatro attrezzato, e come grottescamente una camera mortuaria divenga un allegro e fornito bar. Ma la particolarità più interessante del centro culturale gestito da Olinda non è questa, è piuttosto il fatto che nel complesso della struttura siano stati abilitati al lavoro proprio degli ex-pazienti psichiatrici affetti da disturbi mentali, con l’obiettivo di sperimentare una nuova terapia di contatto col pubblico. Ed è proprio questo l’aspetto al quale il regista da il maggior spazio nel suo documentario. Nel montato assistiamo costantemente alle riprese della videocamera che si aggira da una postazione all’altra dell’ostello, intervistando uno ad uno tutti gli ex-pazienti presenti nel complesso, e mostrandoci conseguentemente le loro capacità lavorative e il loro modo di percepire la realtà e lo scambio umano. Nel video è presente una breve intervista divisa in montaggio in più episodi, in cui Thomas (che appare come uno psichiatra o uno psicologo) tratta in maniera competente l’argomento della sanità mentali e dei conseguenti problemi sociologici che ne derivano. In queste interviste è lampante il contrasto che il regista va a creare, permettendoci di riflettere sul fatto che quello che una volta era un ex ospedale sia ora diventato un funzionante luogo di scambio culturale e umano. Queste brevi interviste, in una stanza scura, con poca luce, si alternano a quelle aperte, luminose e spaziose del centro culturale curato da Olinda.
Il contrasto diventa netto quando si arriva a confrontare la realtà odierna con le parole e le constatazioni di Thomas, dirette invece alla situazione passata dell’ex-ospedale psichiatrico. Emblematica in questo senso la frase nella quale l’intervistato dice: “questo era un luogo dello scambio 0”, un’osservazione tesa a sottolineare il fatto che nel clima dell’ex-ospedale psichiatrico non c’erano scambi di alcun tipo, nessuna “umanità”, ma solamente un sistematico e professionale iter lavorativo; e non solo tra i pazienti e i dottori, ma anche tra il personale stesso (addirittura si parla di sopraffazioni degli uni sugli altri).
Alessandro Penta ci mostra invece come quella realtà e quelle “verità” nel tempo non solo sono cambiate, ma addirittura si sono totalmente capovolte. Quello che era un ambiente arido che doveva tendere alla spersonalizzazione – il luogo “a scambio 0” – è divenuto con anni di duro lavoro e sacrificio un centro di scambio e contaminazione culturale, dove i normali e gli anormali non solo convivono insieme, ma vivono insieme, scambiandosi vere emozioni e sentimenti. A tal proposito vediamo addirittura come la compagnia teatrale che opera nel teatro gestito da Olinda prepari e metta in scena una versione moderna dell’Enrico IV, con protagonista Pietro, ovvero proprio uno di quei lavoratori affetti da disturbi mentali che lavorano all’Olinda. Così la realtà dei fatti diventa più forte di qualsiasi preconcetto o congettura; in Via Ippocrate 45 Alessandro Penta ci mette di fronte a una realtà nuova e bizzarra. In questo luogo dove i malati mentali fanno un tipo di terapia a contatto col pubblico si crea cultura e scambio umano. Tutto ciò induce a una presa di coscienza e a giuste riflessioni su un argomento che spesso è causa di preconcetti e stereotipi; forse il muro che divide i “malati mentali” dalle persone cosiddette “normali” non è così alto e definito come sembra. E Olinda e Alessandro Penta in Via Ippocrate 45 ce l’hanno ampiamente dimostrato.