Non di rado è arduo compito per noi critici de I sotterranei recensire quelle particolari opere cinematografiche che appartengono a tale specifica tipologia di cinema. Parliamo di quella realtà cinematografica nazionale che è priva di distribuzione e produzione; quella realtà spesso trascurata e ancor più spesso sottovalutata in causa della sua assenza dal mercato, dalla programmazione mainstream. L’arduità ad analizzare e criticare alcuni di questi film cosiddetti sotterranei, risiede proprio nel fatto che essi, per la loro intrinseca natura, sono spesso svincolati o in contrasto con l‘idea classica di opera cinematografica o di film come fiction. Per farla breve, chi debba criticare un film sotterraneo si ritrova spesso a dover modificare o rielaborare, a seconda del film stesso, i propri parametri di giudizio estetico-interpretativi. Ovvero a modificare il proprio approccio all’opera per mettersi in condizione di poter ricavare infine un giudizio artistico intellettuale e ragionato di quelli che, altrimenti, sarebbero lavori difficilmente valutabili se analizzati secondo quell’approccio canonico che per brevità definiamo classico.
Erigiamo questa tediosa ma fondamentale premessa per sottolineare come nel nostro caso ci si possa trovare di fronte ad opere bizzarre. Prodotti che per le loro particolarità e per background stesso rappresentano un vero e proprio enigma dal punto di vista critico e interpretativo, e che di conseguenza rendono necessaria la modifica di approccio per giungere a quella chiave di volta che permetta di risolvere l’enigma e di arrivare al valore (quando è presente) contenuto nell’opera. Ebbene, Motel rappresenta alla perfezione uno di questi casi, in cui l’opera filmica è così permeata di elementi ambigui e inusuali da rappresentare un vero e proprio impegno intellettuale e coscienzioso da parte del critico. Girato a Monterotondo (Roma) nel 2008, Motel è l’opera prima del giovane regista laziale Simone La Rocca (da noi già notato per il suo The Slurp – Gli strani supereroi).
Spontaneità è senza dubbio il termine chiave con cui si deve guardare a quest’opera filmica, che tutto contiene tranne che una trama e un intreccio ben definiti, men che meno uno straccio di qualsivoglia storytelling per quelli che sono i protagonisti che popolano le storie che si susseguono (non si sviluppano) in questo film. Utilizziamo il plurale poiché in realtà Motel non segue uno sviluppo preciso, è più che altro un susseguirsi di brevi episodi (tra l’altro intervallati da titoli didascalici) legati l’un l’altro da un sottile, quasi impalpabile, filo conduttore: il fatto che quasi tutti i personaggi si incrocino l’un l’altro per motivi più o meno giustificati durante il susseguirsi del film. La comicità e l’humour permeano tutta l’opera, e sebbene ad una prima occhiata quella di Motel possa apparire decisamente demenzialità più che vera ironia, liquidarne in questo modo l’umorismo sarebbe un giudizio errato e affrettato. L’approccio demenziale, che è effettivamente presente in molte situazioni e dialoghi del film, non è fine a sé stesso, bensì il risultato di un visibile e ragionato sforzo intellettuale e creativo nella direzione realizzativa di un testo che abbia lo scopo di apparire demenziale e vuoto ma che invece vuoto non è affatto. A supporto di ciò come non notare alcune visibili contaminazioni che rendono evidenti le similitudini che intercorrono tra il personaggio di Mauro Maurone e gli indimenticabili Enzo e Oscar Pettinari interpretati dal grande Carlo Verdone, dai quali il personaggio di La Rocca è stato volente o nolente visibilmente influenzato nella sua fase di creazione/interpretazione.
Nella spontaneità e comicità Motel trova quindi il suo carattere principale; un film che scorre tra battute comiche, demenziali e non-sense che si dispiegano sullo sfondo di grottesche situazioni e personaggi ancor più grotteschi o caricaturali (addirittura citazionali, come nel caso di Mauro Maurone). Un flusso comico-demenziale che sembra appunto nascere spontaneamente e naturalmente così, senza alcuna apparente macchinazione o testo. Tuttavia la nota negativa in tutto ciò rimane il fatto che un film che procede per episodi e che non ha un forte intreccio narrativo e una trama ben strutturata (che non si conclude), per quanto ilare e divertente alla lunga comincia a stancare, a divenire lento. L’incompiutezza dell’opera, anche se voluta, lascia quasi sempre l’amaro in bocca e incide negativamente sul giudizio finale. Il regista è consapevole del suo “finale sconclusionato” (come recita la didascalia dell’ultimo episodio), tuttavia questa consapevolezza non basta certo a riscattare il film tutto, e, sebbene volendo lasci spazio per soggettive e particolari considerazioni artistiche o meta-cinematografiche, di certo non dilegua quell’amarezza nel constatare che non si è trovato modo migliore per concludere e valorizzare le idee brillanti cui si assiste nella visione.