Ancora un altro documentario per Prospettive Italia, ancora al centro la figura di un importante regista. Dopo Giuliano Montaldo – Quattro volte vent’anni è la volta di Giuseppe Tornatore – Ogni film un’opera prima. Luciano Barcaroli e Gerardo Panichi (già autori di un lavoro su Terrence Malick, Rosy Fingered Dawn) portano fuori concorso al Festival una panoramica il più possibile esaustiva sull’uomo Tornatore. Insieme a lui oggetto privilegiato della macchina da presa è l’ambiente entro il quale “Peppuccio” si muove e vive, un elemento di primaria importanza per lo sviluppo della sua cinematografia. Ad accompagnarlo in questo racconto di sé troviamo i suoi collaboratori e colleghi passati e presenti: Sergio Castellitto, Ben Gazzara, Tonino Guerra, Leo Gullotta, Giampaolo Letta, Margaret Madè, Ennio Morricone, Tim Roth, Sergio Rubini, Geoffrey Rush e altri ancora.
A differenza del lavoro svolto sulla figura di Montaldo, questo documentario su Tornatore si avvale di molti spezzoni dei suoi film: Il camorrista, Nuovo Cinema Paradiso, La leggenda del pianista sull’oceano, Baarìa… Di tutti viene posta in evidenza la vena autobiografica in essi presente. Perché se c’è una cosa che tutti gli intervistati condividono è proprio questa: Tornatore è un grande regista di uomini, appassionato e folgorato dalla storia che ogni uomo porta dentro di sé, specie della propria. La vita di Tornatore, fin da bambino, è stata condotta attorno a quella passione che è il cinema, una passione fatta oggetto dei propri lavori che altro non sono se non frutto della passione stessa. Nei suoi film Tornatore infonde tutta la propria italianità dando voce a quello che in essa c’è di buono e riservando uno spazio privilegiato alla sua terra, la Sicilia, dalla quale dipendono molte delle sue scelte registiche.
È Tornatore stesso ad accompagnarci nei luoghi che per lui sono stati fonte di ispirazione e motivo del suo essere. Gli inizi, i fallimenti e le vittorie vengono rivissuti con quella vena nostalgica che tanto traspare dalle sue pellicole. L’insuccesso iniziale in Italia di Nuovo Cinema Paradiso viene ribaltato dopo la vittoria dell’Oscar (italianamente tipico), rendendo Tornatore uno dei più caratteristici cineasti della nostra cinematografia. A partire da ciò egli intraprende, all’interno di questo documentario, una sorta di autoanalisi del proprio operato, senza mai però un’espressione di rimorso o di rimpianto. Ogni sua scelta lavorativa è stata frutto di decisioni ben precise e ponderate che denotano tutta la sicurezza che questo autore mostra quando si tratta di porsi dietro la macchina da presa. Ed è una sicurezza della quale i suoi collaboratori, attori in primis, sono grati e felici, perché ha permesso loro di abbandonarsi totalmente alle indicazioni da lui ricevute, riuscendo così a compiere nel miglior modo possibile il proprio lavoro.
Attraverso queste testimonianze si tende a sottolineare, come si è soliti fare in documentari di questo genere, l’umanità di Tornatore, attento osservatore di persone prima ancora che loro direttore. Barcaroli e Panichi, non utilizzando la macchina da presa fissa, donano a questo loro lavoro una maggiore narratività e fluidità delle scene, riuscendo quasi a rendere il regista Tornatore attore di sé stesso e della propria storia. Una storia che colpisce per la tenacia con la quale è stata vissuta e per la poesia con la quale è stata trasportata sulla pellicola, riuscendo così a fare del cineasta uno dei più conosciuti nomi dell’attuale panorama italiano nel mondo.