The Offering

di Oliver Park

La perenne lotta tra la vita e la morte in un horror che affonda le sue radici nell’esoterismo ebraico.

The Offering - recensione film

È opinione comune e condivisa che il primo film horror della storia sia rintracciabile fin dagli albori della nascita del mezzo cinematografico, in quel Le manoir du diable che Georges Méliès ha creato nel 1898. Si tratta di un girato di soli 3 minuti che mette in scena tutti quelli che saranno, da lì e per oltre cento anni, gli archetipi non solo dell’horror generico, ma, soprattutto, di quello religioso. Calderoni stregati, scheletri, pipistrelli, fantasmi e un’incarnazione del diavolo pongono le basi di un filone che è, ancora oggi, inesauribile e fonte di innumerevoli pellicole provenienti da tutto il globo. Gli esempi di film che traggono la propria linfa vitale da temi religiosi sono infiniti: da The Exorcist di Friedkin, Rosemary’s Baby di Polanski, Carrie di De Palma, passando per i Rec spagnoli, e arrivando persino a Mother! di Aronofsky.

La religione, in tutte le sue possibili declinazioni, è il punto di origine di riti, miti, superstizioni, storie antiche, perturbanti e sovrannaturali, morte, vendetta e sangue a profusione; è dunque naturale ricorrere all’immaginario religioso, soprattutto cristiano, per la costruzione di un film horror efficace, che giochi su un sistema di segni atavico e largamente condiviso. In questo filone, che è forse il più prolifico del cinema dell’orrore, si inserisce anche il debutto del regista britannico Oliver Park con un lungometraggio di produzione statunitense: The Offering è strettamente connesso con i miti di una delle religioni più antiche, l’ebraismo. In questo risiede l’elemento più originale del film, che afferisce a un credo poco sfruttato eppure ricco di tradizioni, simbolismi e fascino esoterico.

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Non manca nessuno dei tòpoi di riferimento, a partire da quello originario della dicotomia tra bene e male, vita e morte, luce e tenebra, in un primigenio tentativo di sconfitta della morte, con una narrazione che si dipana dalla volontà di riportare in vita i morti. E qui non si può non fare ricorso, ancora una volta, a un demone ancestrale che infetta non solo coloro che vi entrano in contatto, ma anche la casa stessa in cui si svolge il racconto filmico, che diventa protagonista e prigione. Una grande casa antica riccamente decorata con giganteschi chandelier, grandi scalinate, carte da parati ed enormi specchi dorati che, inutile dirlo, saranno elementi funzionali della storia. Del resto, proprio nella casa, si può rintracciare l’architrave del film: nel seminterrato, nascosto dalla vista e dalla luce, si svolge l’attività di onoranze funebri della famiglia che si trova al centro della maledizione. Una famiglia che, dunque, conosce bene il labile confine tra la vita e la morte, confrontandosi ogni giorno con il dolore della perdita e il vuoto lasciato dalle persone care.

The Offering sceglie una strada già battuta numerose volte, non lesinando sui tropi del genere horror religioso, mettendoci dentro sacrifici umani, fantasmi di bambini, demoni mutaforma, talismani e pentacoli: non manca nulla, tranne l’originalità. Nonostante questo, il film rimane godibile, con un paio di onesti jumpscare che sono, in fondo, lo strumento più facile ma anche più efficace per portare avanti un racconto che, se anche non ispirato, riesce a intrattenere, nonostante gli effetti speciali risultino spesso non all’altezza. A tal proposito, Park avrebbe potuto avvalersi maggiormente dell’escamotage della natura mutaforma del demone perché, paradossalmente, questo riesce a essere più incisivo e spaventoso quando è in veste umana, piuttosto che quando ha le sue vere sembianze di demone; spesso il non mostrare apertamente e il nascondere alla vista possono causare più turbamento di un mostro creato in computer grafica, specie se il budget e la creatività non lo sostengono. Tuttavia la mancanza che si avverte più intensamente riguardo proprio la religione ebraica, nonostante debba essere al centro del racconto; non bastano infatti pochi riferimenti alla Torah e un esperto di cabala per costruire efficacemente quel sentimento religioso di cui dovrebbe essere impregnato il film, come invece aveva saputo fare The Vigil del 2020, mettendo in luce affascinanti riti tradizionali. Rimane perciò una sensazione di incompiutezza e mancanza di profondità per cui il film si relega a una semplice dimensione di svago e facile spavento, che convince solo a metà ma che ha anche l’indubbio pregio di restituirci un’opera classica ben costruita inserita saldamente nel novero degli horror religiosi.

Autore: Gaia Fontanella
Pubblicato il 22/02/2023
Regia: Oliver Park
Durata: 93 minuti

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