Attraverso lo Specchio: Perfect Blue

di Satoshi Kon

Agenti della paranoia: specchi, schermi e identità digitali nel cinema di Satoshi Kon.

Copertina

«Non mi pareva che essere io, proprio io, io vero, io in persona, fosse la stessa cosa che essere la mia immagine»
La scacchiera davanti lo specchio, Massimo Bontempelli (1922)

Lo psicologo e filosofo sovietico Alexander Spirkin sostiene nei suoi libri che l’essere umano tende, per sua stessa natura, ad assimilare e a interiorizzare le caratteristiche della società in cui cresce e da cui inevitabilmente viene influenzato, per imitazione o per antitesi. Ne consegue che non è possibile comprendere a fondo la produzione di un autore senza conoscere il contesto storico e socioculturale in cui essa si colloca. Il caso Satoshi Kon non fa eccezioni. Per analizzare l’impatto epocale che le sue opere hanno esercitato sull’immaginario cinematografico orientale (e non), è necessario rilevare i mutamenti in atto su scala globale. In tal senso, gli anni novanta rappresentano un decennio cruciale, a livello internazionale, per il mondo dell’animazione. Infatti, mentre nei cinema occidentali spopolano i futuri classici del cosiddetto “Rinascimento Disney”, che risolleveranno le sorti del colosso americano dell’intrattenimento dopo una fase di stallo, nel paese del Sol Levante una nuova generazione di autori - guidata da Mamuro Oshii (Ghost In the Shell), Hideaki Anno (Neon Genesis Evangelion) e Shin'ichirō Watanabe (Cowboy Bepop) - sancisce definitivamente la fine dell’ età dell’innocenza dell’animazione giapponese e l’ingresso in quella della maturità. Questa transizione viene siglata da una serie di opere seminali per il genere, qualitativamente eccelse, in grado di oltrepassare i confini nazionali e farsi apprezzare anche all’estero grazie alla massiccia diffusione del mercato home video.

Evangelion

Influenzati dall’esperienza dello Studio Ghibli e dagli scenari apocalittici descritti in film come Akira, gli anime, ritenuti fino quel momento produzioni ancora acerbe rispetto ai manga in termini di tematiche trattate, smettono di essere percepiti come veicoli di pura evasione per trasformarsi, sia sul grande che sul piccolo schermo, in efficaci strumenti di indagine antropologica capaci di riflettere le angosce e le frustrazioni dei più giovani, analizzando i conflitti presenti all’interno di società altamente tecnologizzate fino a mettere in discussione le politiche sociali ed economiche che hanno condotto il paese sull’orlo del collasso, tra la fine degli anni ottanta e l’inizio del nuovo millennio. Tutte le narrazioni sviluppate in quest’arco temporale risentono inevitabilmente degli influssi nefasti del “decennio perduto”: un periodo storico estremamente drammatico per la popolazione giapponese, vittima di un clima di instabilità e sfiducia generalizzate che culminerà con il tragico terremoto di Kobe e il durissimo attentato terroristico della setta religiosa Aum Shinriykō alla metropolitana di Tokyo, sconvolgendo l’opinione pubblica.

Akira

Tra gli esponenti più originali e rappresentativi di questa nuova stagione cinematografica, contraddistinta da una maggiore libertà sul piano artistico e da una rinnovata sensibilità su quello culturale, si distingue la figura di Satoshi Kon: un autore fuori dagli schemi, un “agente della paranoia” moderna a metà strada tra Lewis Caroll e Philip K. Dick, destinato a rivoluzionare con le sue visioni premonitrici il futuro dell’animazione e dell’arte in senso lato, al pari di maestri del calibro di Hayao Miyazaki e Katsuhiro Ōtomo. Non a caso, sarà proprio il creatore di Akira a proporre il nome di Kon, suo protetto e collaboratore, come regista di Perfect Blue: un progetto liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Yoshikazu Takeuchi, scrittore e giornalista impegnato nello studio della comunità otaku, ovvero gli appassionati di anime e manga. Forte della sceneggiatura di Sadayuki Murai (Knights of Sidonia), l’adattamento di Kon, più complesso e stratificato della sua controparte letteraria, sfrutta al massimo le potenzialità tecniche ed espressive del linguaggio animato che il regista già padroneggia, tramutando lo script originale, incentrato sulle vicissitudini sanguinolente di una giovane cantante idol perseguitata da uno stalker, nel viaggio allucinato di una novella Alice alla ricerca dell’innocenza perduta nei recessi più oscuri della civiltà delle immagini, dove i confini tra la vita reale e la finzione cinematografica si assottigliano, fino a perdere del tutto significato.

Perfect 2

Attraverso gli occhi di Mima Karogoe, protagonista di una storia di alienazione urbana e schizofrenia latente ambientata alle soglie dell’alfabetizzazione informatica, tra simulacri digitali, identità sdoppiate e ossessioni voyeuristiche, Kon non solo anticipa l’insorgere delle psicosi collettive che alimentano la trilogia di Matrix ma denuncia senza pietà le aberrazioni di un sistema, quello dello showbusiness, che non fa prigionieri, come testimonia il controverso universo nipponico delle idol. Parliamo di una fabbrica di lolite iper-sessualizzate, date in pasto alle fantasie morbose del pubblico maschile in cambio di fama e successo e poi inghiottite dagli ingranaggi della depressione o relegate nell’anonimato più totale al compimento della maggiore età. Un circo mediatico inarrestabile, fondato sulla mercificazione del corpo femminile che, a pensarci bene e con le dovute proporzioni, non si discosta eccessivamente dal modello proposto dall’industria dello spettacolo occidentale: la parabola della popstar Britney Spears lo può confermare. La riflessione di Kon si estende anche alla nascente cultura degli otaku: un'espressione estremamente popolare nella sua accezione positiva ma che in patria ha assunto, a fasi alterne, anche una connotazione negativa fino ad indicare delle vere e proprie devianze comportamentali, amplificate dai media, soprattutto in seguito ai ripugnanti omicidi commessi da Tsutomu Miyazaki, soprannominato l’“Otaku Killer”, un individuo profondamente disturbato, colpevole di aver rapito, violentato e ucciso quattro bambine tra i tre e i sette anni. Quest' episodio da cui il film attinge nel delineare il profilo dello stalker, ha contribuito a sottolineare quei processi ossessivo/compulsivi di auto-emarginazione casalinga e disagio esistenziale, vissuti da migliaia di adolescenti, che avrebbero sollevato il problema degli hikikomori: un fenomeno sociale estremamente diffuso negli anni a venire anche negli Stati Uniti e in Europa.

Perfect 2

Quando Perfect Blue debutta in anteprima nelle sale, durante il festival Fant’Asia’ 97 di Montreal in Canada, il film suscita immediatamente l’interesse degli addetti ai lavori, aggiudicandosi i favori della critica. È evidente che lo sconcertante esordio alla regia di Kon non è il solito lungometraggio figlio dell’anime boom ma il manifesto avant-pop di un artista colto e visionario. Si tratta infatti di una pellicola d’animazione anomala anche per gli standard giapponesi dell’epoca: un sofisticato thriller psicologico dall’architettura onirica, diviso tra realismo e astrazione, che il veterano del cinema Roger Corman non esita a definire con entusiasmo il bizzarro risultato di “un’ideale collaborazione tra Alfred Hitchcock e Walt Disney”. Come la maggioranza degli autori postmoderni, Kon non fa mistero delle ispirazioni cinematografiche di cui si nutre il suo cinema, soprattutto per quanto riguarda l’intelaiatura a spirale della sua narrazione, esplicitando le affinità elettive nei confronti di alcuni registi anticonvenzionali come Terry Gilliam, e in particolar modo verso coloro che hanno interiorizzato e fatta propria la lezione del maestro inglese della suspense come Brian De Palma e Dario Argento, con cui il regista nipponico condivide l’interesse per la rappresentazione della follia, il tema del doppelgänger e la parzialità dei punti di vista.

Perfect 3

A partire da Perfect Blue, la relazione tra la psiche e lo schermo assume un ruolo centrale nella poetica di Kon, tanto è vero che la presenza assidua dello specchio all’interno dei sui film, come riflesso simbolico dell’interiorità dei suoi personaggi, non rappresenta soltanto l’emblema dell’ordine e della simmetria ma rivela la natura metamorfica dell’individuo, contiene l’inverosimile e il paradosso, tutto ciò che nella quotidianità non è visibile e che va scoperto a qualunque costo, esponendosi a qualsiasi rischio per prendere coscienza della propria identità personale. Di conseguenza anche lo schermo del cinema, inteso come dispositivo principe dell’esperienza mediale, si fa specchio ed è compito del regista governare il flusso ininterrotto di immagini che invadono la mente del pubblico, sfidando lo sguardo ad andare oltre le apparenze, per affrontare la realtà e decodificare la complessità del mondo che ci circonda. Un compito che il cinema di Satoshi Kon, una vera e propria “macchina dei sogni”, non ha mai smesso di adempiere, nonostante la prematura scomparsa del suo creatore avvenuta nel 2010.

Kon

La sua breve ma significativa filmografia continua a essere, ancora oggi, una fucina di suggestioni e considerazioni sempre rivolte alla crescita cognitiva dello spettatore, ma anche un’occasione di analisi e di confronto per approcciarsi agli artisti che, a loro volta, sono stati influenzati dalle opere di Kon, da Christopher Nolan (Inception) a Darren Aronofsky (Requiem for a Dream, Il Cigno Nero), fino ad arrivare a David Lynch (Inland Empire). Per questa ragione, tornare a vedere al cinema un film come Perfect Blue a distanza di quasi trent’anni dal suo concepimento, nell’epoca della post-verità, dell’esclusione sociale e dell’equivocità delle esperienze multimediali, suscettibili a ogni genere di contraffazione, significa tornare a interrogarci sulla nostra contemporaneità senza rifugiarci nella celebrazione del passato ma celebrando, semmai, il talento di un autore in anticipo sul futuro, quello che stiamo vivendo.

Autore: Jacopo Bonanni
Pubblicato il 02/05/2024
Giappone, 1997
Regia: Satoshi Kon
Durata: 81 minuti

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