El Pampero Cine: paladini di una magnifica ossessione #1

Un’introduzione in quattro parti. Prima parte.

el pamper cine, speciale

Del Pampero Cine, in Italia e non solo, sappiamo ancora pochissimo. Bisogna dunque innanzitutto mettersi alla ricerca di alcune tracce, per cominciare a raccontare e provare a comprendere meglio questa realtà indipendente che negli ultimi anni ha proposto almeno due opere senza eguali nel cinema contemporaneo, La flor di Mariano Llinás e Trenque Lauquen di Laura Citarella, che per alcuni sembrano essere diventate lenti fondamentali attraverso cui guardare al cinema argentino dei nostri giorni, se non al cinema d’autore tout court.

Cominciamo dalle presentazioni: Laura Citarella, Mariano Llinás, Agustín Mendilaharzu e Alejo Moguillansky, nati tra il 1975 e il 1981, sono i componenti della banda. Registi di un numero di opere che inizia a essere consistente, una passione professionale comune per il teatro e per la musica, ognuno dei quattro ha le sue specificità – la fotografia per Mendilaharzu, il montaggio per Moguillansky, la scrittura per Llinás, la produzione per Citarella – ma più o meno tutti fanno tutto, gli uni per e con gli altri, in un’idea moschettieresca che privilegia la dimensione del gruppo a quella del singolo autore; il risultato è un tutto inevitabilmente maggiore della somma delle parti. Si presentano spesso come un gruppo di amici, conosciutisi in una maniera o in un’altra attorno al contesto di attività della Universidad del Cine (FUC) di Buenos Aires, e cominciano a fare film insieme dal 2002 con Balnearios e, in maniera forse più evidente, dal 2008 con Historias extraordinarias, entrambi diretti da Mariano Llinás.

I primi cinque minuti di Balnearios, a tutti gli effetti la prima vera produzione del Pampero nella quale compare anche per la prima volta una bozza di logo (ancora privo del sostantivo “cine”), sono già indicativi di una certa tonalità che unisce l’ironia alla malinconia, l’invenzione alla ricerca, l’esplorazione all’analisi. Tutto passa per la reinvenzione del mondo e per la scrittura – del testo recitato, della grammatica delle immagini (qui vecchi filmati in super8 di bagnanti), di un montaggio che fa del contrappunto tra musica e voce off uno dei suoi cardini. Tutto passa per il cinema che è nello stesso tempo, dichiaratamente, una forma di vita.

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Queste caratteristiche derivano dalla volontà di portare avanti una ricerca che rifiuta di adeguarsi a standard prestabiliti da altri. Lo dice in maniera chiara Moguillansky in un breve video pubblicato nel 2019 dal Filmfest München: volevamo avere una relazione più diretta con il cinema. Vuoi filmare? Prendi e vai. Il tentativo era quello di giungere a una prossimità simile a quella che i letterati hanno con la scrittura o i pittori con la pittura, senza la necessità del peso delle regole industriali. Perché se come scriveva Malraux il cinema è un’industria, esso è nondimeno anche vita e desiderio – e allora è necessario capire quale spazio concedere e quale invece bisogna prendersi, in che modo tentare di sopravvivere e come piuttosto riuscire a vivere pienamente. Di qui la decisione di adottare una struttura di lavoro più orizzontale e non gerarchica, di rifiutare i sussidi dello stato e le relative imposizioni produttive, di reinvestire gli introiti nella creazione e nella produzione di nuovi progetti. La storia del Pampero Cine è una storia di lavoro costante e di continui scambi tra film e film, perché i tempi di produzione delle singole opere possono essere anche molto lunghi e questo influisce sulla loro forma finale, concepita come un organismo che se pure ha una struttura (più o meno) classica non smette comunque di influenzare ciò che si sta facendo e quel che si ha in mente, o di ritornare e ridare vita alla forma precedentemente assunta dal girato.

Agisce su questo atteggiamento soprattutto l’esempio rappresentato dal teatro underground e indipendente argentino, da cui proviene tra le altre Veronica Llinás (sorella di Mariano e attrice in diversi film del Pampero), oltre alle quattro attrici del gruppo Piel de Lava che sono le protagoniste di La flor. Nel prologo di questo autentico monumento del cinema contemporaneo, uscito nel 2018 e noto ai più quasi esclusivamente per la durata eccezionale di quattordici ore, il regista entra in scena per spiegare la struttura del film e conclude dicendo che la particolarità consiste nel fatto che in esso sono presenti quattro donne (Elisa Carricajo, Valeria Correa, Pilar Gamboa, Laura Paredes) che interpretano diversi ruoli e che La flor è un film su loro quattro, e in qualche modo per loro quattro. Parlare oggi del Pampero Cine significa quindi misurarsi con una costellazione ampia che vede queste presenze ricorrenti attraversare molti film del gruppo (basti pensare al ruolo di alter ego che Laura Paredes ha cominciato ad assumere nei film di Laura Citarella) insieme ad altre presenze non meno fondamentali. Citarne alcune – per prime quelle di Luciana Acuña (La edad media, Por el dinero), Ezequiel Pierri (Trenque Lauquen), Constanza Feldman (Clementina) – è essenziale per cogliere l’aria di famiglia dei vari film, nella creazione dei quali sono spesso coinvolti musicisti come Gabriel Chwojnik, scenografe e costumiste come le sorelle Laura e Flora Caligiuri, ingegneri del suono come Marcos Canosa, direttrici della fotografia come Inés Duacastella, attori che mettono a disposizione la loro multiforme complicità com’è il caso di Walter Jakob.
El Pampero Cine non è solo una casa di produzione: è una vera e propria moltitudine.

[ Leggi qui la seconda parte dell'introduzione ]

Autore: Andrea Inzerillo
Pubblicato il 05/03/2024

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