Speciale MUBI / A Russian Youth
L'opera prima di Alexander Zolotukhin, allievo di Sokurov, mescola suoni e voci orchestrali con la vicenda bellica del giovane soldato Alexey, in un incontro di corpi e/o fantasmi che è forma aperta, non drammaturgica ma immaginativa.
[Questo articolo fa parte di uno Speciale dedicato alla piattaforma di streaming on demand MUBI, un focus monografico composta da una galleria di recensioni contaminate da riflessioni teoriche, emotive, autobiografiche, per riflettere trasversalmente sul tema della cinefilia on demand e sul più generale rapporto che intessiamo oggi con le immagini. Il progetto è stato presentato e inquadrato nell'editoriale "Di MUBI e del nome del cinema", che potete trovare qui].
E se davvero il tempo fosse un animaletto soffice, come lo chiama Sokurov? È assai probabile che con lui sia d’accordo Alexander Zolotukhin, classe 1988, che del grande regista siberiano è stato allievo e su di lui ha potuto contare per la produzione creativa di A Russian Youth, suo film d’esordio, lanciato dal Forum del Festival di Berlino nel 2019 e inserito nella Videoteca di MUBI nel 2020. Perché questo è un film fuori dal tempo, perché qui di tempo ce n’è troppo e troppo poco, è dominatore e dominato, reale e irreale, un misterioso gioco di relazioni, un flusso lento, ipnotico, radicale, che scivola sui corpi, sulle cose, sull’arte, la violenza, le voci, la Storia. Che li penetra. In poco più di un’ora la Prima Guerra Mondiale e un’orchestra d’oggi misteriosamente dialogano, come in uno strano specchio, in un riflettersi paradossale che è nella lingua del cinema, una lingua dei segni. Come se il passato fosse un ritorno al futuro, come se il presente fosse già successo. Un intreccio inestricabile, una coabitazione sensoriale, quasi due film in cortocircuito.
Qui, quella dell’Occhio del Novecento è resa e resistenza insieme, una domanda assurda, irrisolvibile questione dello sguardo. Sguardo del quale il giovanissimo soldato Alexey (Vladimir Korolev) viene subito deprivato: è la sua prima battaglia, i tedeschi attaccano col gas e il ragazzo perde la vista. Da un grande imbuto metallico, allora, dovrà intercettare le aggressioni aeree del nemico. Che è più preparato, più forte. Certo, ma il film bellico, qui, non è un genere, è teoria dell’immagine e una smarginatura, lo spazio delle avventure di Alexey, che parrebbe creatura appena nata, che nulla conosce, quasi fosse un altro Pinocchio. E il Concerto per pianoforte n. 3 in re minore, op. 30 e le Danze Sinfoniche, op. 45 di Rachmaninov, nelle prove degli orchestrali, e ancor più i suoni, le voci, le interruzioni, le altre immagini di questi musicisti si insinuano dal loro mondo, dal secolo che è trascorso, nella fisicità, nella materialità quasi cartacea del racconto di guerra. Forme che si incarnano e disincarnano reciprocamente. Un’installazione vicendevole che fa di A Russian Youth una biografia collettiva e la storia di un giovane soldato cieco e dei suoi compagni, un corpo espanso, una dialettica audiovisiva, una lacerazione dolce e drammatica, un astratto luogo temporale, un’impossibile, dilatante sintesi memoriale (memoria del cinema, nel solco del maestro Sokurov, di Tarkovskij? Memoria di una nazione tra zarismo e rivoluzione che verrà? Memoria del presente? Memorie immaginarie?). Zolotukhin non confonde mai ma disorienta sempre: cosa guardano, dove guardano questi orchestrali nelle pause, nei sorrisi, quando scrutano, si incantano, ascoltano? E se Alexey fosse un loro sogno? E se quegli orchestrali in realtà fossimo noi? Ecco, dove siamo noi in questo film necessariamente immersivo e dispersivo insieme, nella guerra di Alexey che involontariamente insozza la divisa di un suo superiore e viene impietosamente punito, Alexey che gioca al solletico con un suo compagno, che ha bisogno di aiuto ma finge non sia così, che non può vedere, che cade, si rialza, si perde? Chi sono questi personaggi? Sono corpi, fantasmi? La forma qui non è gabbia concettuale ma desiderio, una forma aperta, la progressione non è drammaturgica ma immaginativa, A Russian Youth è così lontano così vicino, non è un film doppio, duplice, è un film doppiofondo, un oggetto chiaro e misterioso. E il tempo, sì, forse è davvero un animaletto soffice. Ma il cinema, questo è sicuro, non potrà mai essere il suo padrone.