Friedkin Uncut
Il documentario di Francesco Zippel costruisce per lo spettatore un racconto incentrato sul cinema di William Friedkin, impreziosito da numerose testimonianze e da ricchi backstage d’archivio.
Dopo gli ultimi Killer Joe e The Devil and Father Amorth, William Friedkin torna nuovamente al Lido di Venezia. Questa volta non in veste di regista ma di intervistato, nel documentario Friedkin Uncut di Francesco Zippel.
Camicia scura su pantalone beige, il regista di Chicago si muove con piglio deciso nel suo appartamento, mostra alla macchina da presa quadri di Corot, preziosi disegni di Ejzenstejn e stampe giapponesi. Gesù Cristo e Adolf Hitler: sono loro i personaggi da cui Friedkin inizia il suo one-man-show, a sua detta i due personaggi più interessanti della storia dell’umanità, che si sono spinti, nel bene e nel male, oltre ogni limite possibile. Poi preparazione del set in appartamento e tazza di caffè come accompagnamento. Si parte.
Dopo una lunga gavetta in televisione arriva l’occasione giusta con il documentario The People vs. Paul Crump, che racconta la storia di un uomo salvato dalla condanna a morte. Da qui inizia il lavoro di Friedkin per il cinema («Odio chi si considera un artista. Fare cinema è un semplice mestiere, non un’arte»). Vengono ripercorse alcune delle fasi principali della carriera del cineasta che, più di tutti, ha caratterizzato gli anni ’70 e la New Hollywood, incorniciata da Il salario della paura e Cruising e, ovviamente, spaccata da L’esorcista.
Le numerose testimonianze ricordano con estrema attenzione alcuni dettagli che hanno avuto un netto impatto su molti colleghi, da Wes Anderson (per cui è possibile vivere dentro i film di Friedkin) a Walter Hill (che sostiene che L’esorcista è per il genere horror ciò che Star Wars ha rappresentato per la fantascienza), e ancora da Quentin Tarantino (che ricorda le interminabili file davanti ai cinema che proiettavano il film del ’73) agli interventi di Francis Ford Coppola, Philip Kaufman, Damien Chazelle (indicato da Friedkin come il futuro del cinema americano), Juno Temple, Dario Argento e Antonio Monda. Bill è come un vulcano, il suo flusso magmatico è impossibile da arrestare. Si sofferma sul grande amore per il documentario, la cui ansia di verità caratterizzerà tutti i suoi film a venire e sarà centrale anche nel lento prologo “quotidiano” de L’esorcista.
A rievocare una carriera così lunga e importante contribuiscono anche i richiami a Il braccio violento della legge («Se non avessimo girato la scena dell’inseguimento in mezzo ad auto e persone, non avrei restituito l’impressione di una vera New York») e alle polemiche generate da Cruising (girato interamente nel sottobosco omosessuale di New York) e Vivere e morire a Los Angeles. Il racconto autobiografico è alimentato dai suoi ricordi cinematografici giovanili, da quel Quarto potere che lo spinse ad intraprendere la carriera di regista e dall’intervista del 1975 a Fritz Lang, che confessò al regista americano di aver odiato i suoi film del periodo europeo («Ho l’impressione che siano girati da un sonnambulo») e di considerare più riusciti i titoli del periodo americano.
Il maggior pregio del documentario di Zippel risiede proprio nell’estrema accuratezza a tratti ellittica, nella passione che lo anima e nella restituzione di un senso di verità molto fedele al cinema di Friedkin, per cui, prima di ogni cosa, ciò che conta è l’urgenza del racconto, al di là di ogni sfumatura politica. Emerge così una concretezza ed una solidità che sono spesso difficili da trovare dietro l’aura dei grandi miti.