Summer of ‘84
Un film orgogliosamente ancorato al passato, che sbircia attraverso il buco della serratura della memoria collettiva per raccontare un’avventura analogica di amicizia e vulnerabilità, perennemente in bilico tra nostalgia e colta rielaborazione.
Nella torrida estate del 1984, mentre al cinema prorompenti sirene si spiaggiano a Manhattan, universitari falliti si inventano acchiappafantasmi, e orde di famelici gremlins assediano la provincia americana, in un tranquillo sobborgo dell’Oregon un manipolo di avventurosi adolescenti, armato di torce, bmx, walkie-talkie e un briciolo di immaginazione, si ritrova coinvolto in un’adrenalica “caccia all’uomo” sulle tracce di un misterioso serial-killer, scomparso dieci anni prima, che sembra nascondersi dietro le staccionate verniciate di fresco e le aiuole rasate del loro quartiere, convinto di non poter essere smascherato in nome delle regole di buon vicinato. In un un microcosmo dove gli adulti sono confinati al margine della storia, come nella miglior tradizione della narrativa per ragazzi che va da Mark Twain a Stephen King, spetterà proprio al piccolo commando di detective allo sbaraglio, composto dal classico quartetto di clichè (eroe, ribelle, spalla comica e nerd) e capitanato dall’imberbe protagonista Davey Armstrong, il compito di setacciare la città per raccogliere gli indizi e scoprire la vera identità dell’assassino; portando a galla un’insospettabile verità che segnerà la fine della loro spensierata vita da teenager.
Per chiunque sia cresciuto a cavallo degli anni ottanta e novanta l’adolescenza non è un film, è molti film: da I Goonies a Stand By Me passando per Explorers e Scuola di mostri; un’antologia di “classici” che è piacevole tornare a guardare, rigorosamente in comitiva, con la giusta dose di ironia per rivivere la magia di un’epoca improbabile in cui tutto sembrava più semplice e spontaneo perché ambientato tra i banchi di scuola, alle soglie del fine settimana. Questo è lo spirito con cui affrontare la visione di Summer of ‘84: un film orgogliosamente ancorato al passato, che sbircia attraverso il buco della serratura della memoria collettiva per raccontare un’avventura analogica di amicizia e vulnerabilità, perennemente in bilico tra nostalgia e colta rielaborazione.
La pellicola segna il ritorno dei Roadkill Superstar. A pronunciarlo, Roadkill Superstar o meglio RKSS, potrebbe sembrare il nome di una gang di motociclisti infernali fuggita direttamente dall’immaginario di Mad Max, oppure il modello di una BMX avveniristica munita di flusso canalizzatore e circuiti temporali, ed in certo senso è proprio così; perché dietro questo acronimo si cela un collettivo iperattivo di registi indipendenti innamorati degli anni ottanta: François Simard, Anouk Whissell e Yoann-Karl Whissell. Sconosciuti ancora al pubblico mainstream, questi tre geek canadesi, ubriachi di cultura pop e musica synthwave, sono in realtà i precursori dei Duffer Brothers di Stranger Things.
Infatti sono loro gli autori dell’acclamato Turbo Kid del 2015: un delirante film underground dalle roboanti ambientazioni postatomiche, infarcito di adolescenzialismo e citazioni cinefile - Waterworld, BMX, Bandits Solarababies - che sul solco già tracciato da Ernest Cline (Ready Player One) e JJ Abrams (Super 8) ha contribuito a dare “nuova linfa” al virus inarrestabile di retromania che ha contagiato tanti dei prodotti mediali degli ultimi anni, di cui Summer of 84 è l’ennesimo tassello. A differenza del lavoro precedente, nato sulla scia dell’entusiasmo riscosso dal piccolo web-cult Kung Fury di David Sandberg il nuovo film dei RKSS si presenta fin dal soggetto iniziale (“Ogni serial killer è il vicino di qualcuno”) come un lavoro decisamente più maturo e interessante.
In questo secondo lungometraggio, l’estetica da videoclip lascia il posto a un solido intreccio narrativo, liberamente ispirato a L'erba del vicino di Joe Dante, dove la cura per i dettagli non è mai autoreferenziale e ogni singolo elemento gioca un ruolo preciso all’interno della costruzione della tensione, dalle dinamiche che si creano tra i giovani protagonisti alle atmosfere notturne evocate dalla colonna sonora - più dosata ed efficace - firmata dal duo elettronico dei Le Matos. In compenso il collettivo di registi rifiuta le abusate atmosfere scifi e gli elementi soprannaturali, in favore di un protoslasher dalle sfumature inquietanti e dal black humor pronunciato, che funziona anche se spogliata della confezione “retrò” e richiama quanto già apprezzato nei recenti Super Dark Times e I'm Not a Serial Killer; conducendo per mano lo spettatore verso un finale inaspettatamente amaro che non guasta l’esperienza ma che al contrario ne esalta la piacevolezza della visione.
Forse gli unici difetti del film sono la durata troppo lunga e l’ingenuità di alcune soluzioni narrative ma si tratta di peccati veniali nell’epoca della serialità tout-court e della frammentazione, che vengono riscattati dal coraggio di una narrazione cinematografica compatta, senza compromessi con la televisione. Riassumendo, possiamo definire Summer of '84 come la risposta canadese a Stranger Things: un omaggio imperfetto ma onesto e spassionato alla lunga estate dei teen-movies generazionali del passato. Un thriller lillipuziano, ritmato e ben congegnato, che pur strizzando l’occhio al cinema di Joe Dante e Rob Reiner riesce tuttavia a non inciampare mai nella riproposizione ossessiva, totalizzante e mimetica degli stilemi della belle epoque del cinema d’intrattenimento americano. Un film che fino a ieri avrebbe fatto la gioia di chi - da adolescente - amava spulciare tra i vhs impolverati dei negozi dell’usato ma che oggi non sfigurerebbe affatto nel catalogo originale di Netflix accanto a titoli simili come The Babysitter e Better Watch Out per chiunque sia in cerca di svago.