Game of Thrones 8x01 - Winterfell
Un colosso dell'intrattenimento si avvia alla sua conclusione, offrendo una premiere molto solida e per forza di cose altamente introduttiva.
Dalla fine della settima stagione di Game of Thrones è passato più di un anno e mezzo, uno iato temporale mai così lungo per la serie di HBO, che in occasione dell'annata conclusiva ha pensato di prendersi tutto il tempo necessario per evitare di commettere errori e chiudere nel migliore dei modi. È in questa atmosfera di piena bramosia che si presentano gli ultimi episodi, un clima che è sì di festa ma anche di funerale. Si tratta senza dubbio del più importante evento televisivo dell'anno, la cui importanza però è data anche dal fatto che con la conclusione di Game of Thrones finisce un rapporto tra pubblico e televisione che probabilmente non è mai stato così intenso, e che lascerà orfani milioni di fan in tutto il mondo.
All'interno di questo clima la serie tratta dai libri di George R.R. Martin si presenta con tutte le cautele del caso. La premiere Winterfell tradisce in parte il calcolo che sta alla base di ogni scelta ma si dimostra anche preparata ad affrontare gli obblighi dati dalle circostanze, che riducendo il discorso all'osso si riducono a: esaltare gli spettatori con il ritorno di qualcosa di già noto e molto amato, stupirli con sorprese inaspettate, concludere il percorso esponendosi a meno critiche possibili.
A proposito di stupore, il primo colpo di scena arriva ancora prima di entrare nella diegesi narrativa, perché è già la sigla a richiedere attenzione allo spettatore. Contrariamente a tutte le fandonie e alle retoriche da quattro soldi secondo cui le serie televisive necessiterebbero di essere apparentate al cinema per essere legittimate – logica parossistica che arriva a definire Game of Thrones non tanto un prodotto televisivo quanto un film di oltre settanta ore – questo show è un prodotto televisivo a tutti gli effetti e l'importanza conferita alla sigla è una delle tante dimostrazioni. Rispetto alla media degli show – soprattutto quella odierna, che è decisamente contratta rispetto a qualche anno fa – la sigla di Game of Thrones è tra le più lunghe e complesse, e offre ogni volta uno spunto in più sul racconto che anticipa. In questo caso però, dopo sette stagioni di solidissima continuità, la premiere è anticipata da una sigla quasi completamente nuova, che comincia con l'iconica Barriera distrutta e si avventura in spazi chiusi e misteriosi come i sotterranei di Winterfell, che a giudicare dall'importanza ricoperta avranno un ruolo determinante in questi ultimi episodi.
Passando all'episodio, si tratta di cinquanta minuti che scorrono molto rapidamente e in cui si sente in maniera chiara la volontà di fare le cose con precisione, coniugando sia le urgenze legate al disegno complessivo, sia la necessità di non far sembrare i personaggi delle marionette in balia di fattori esterni. Gli autori della serie impostano la premiere realizzando un episodio d'apertura all'insegna dell'equilibrio, che se da una parte può sembrare un democristiano non voler scontentare nessuno, dall'altra si configura la soluzione più idonea, perché le istanze da tenere in considerazione sono tantissime e spiccare su un fronte ma fallire su un altro potrebbe rivelarsi un autogol.
La ragione di una scelta simile va ricercata nelle peculiarità di questo prodotto rispetto al resto della serialità, che lo rende soggetto a prospettive analitiche differenti. Game of Thrones infatti non è uno show che può essere giudicato nella maniera tradizionale, e in questo preciso momento – la premiere della stagione conclusiva – costituisce un oggetto di studio decisamente peculiare. L'inizio della fine di Game of Thrones, infatti, sfugge alle modalità interpretative classiche perché contiene una serie di peculiari variabili e di caratteristiche specifiche che rendono l'analisi del testo estremamente più complessa e meno immediata rispetto al solito.
Da questa settimana si parla prima di tutto della fine di un colosso dell'intrattenimento e l'episodio d'apertura della stagione non può essere visto se non sotto questa luce, ovvero come un tassello narrativo che ha l'obbligo di portare questo enorme universo alla sua conclusione. A conti fatti questa premiere, rimanendo in equilibrio tra le varie storyline, riesce anche a incanalare un plot pachidermico come quello di Game of Thrones in una direzione precisa, che visto il finale dello scorsa annata non può che avere in Winterfell il suo generatore narrativo. Allo stesso tempo, l’episodio deve anche fronteggiare la richiesta di giustificare gli enormi investimenti produttivi attraverso la realizzazione di momenti spettacolari che soddisfino le aspettative degli spettatori e in questo senso le scene di violenza, le battaglie e soprattutto l'esibizione dei draghi giocano un ruolo importante.
A proposito della necessità di tirare le fila e di fare di questo finale anche una celebrazione della serie stessa, in modo da dare ai fan esattamente ciò che vogliono, l'incipit della premiere dimostra la volontà degli autori di partire dal principio, lì dove tutto ha avuto inizio, riprendendo la sequenza del pilot in cui l'allora giovanissima Arya si spinge in alto per guarda l'arrivo di Cersei e Robert Baratheon. Allo stesso modo stavolta un ragazzino introduce la puntata arrampicandosi su un albero per vedere meglio l'entrata a Winterfell di Jon e Daenerys, accompagnati dall'esercito e dai due giganteschi draghi. Una scelta questa che denota grande intelligenza e idee molto chiare, risultando perfetta per introdurre l'ultimo atto della serie.
La necessità di riassumere uno show di queste dimensioni in un epilogo di soli sei episodi emerge anche attraverso una serie di sequenze che contrastano un po' l'una con l'altra dal punto di vista del registro utilizzato, e che proprio per questo fanno emergere la poliedricità dello show. In particolare tutta la sequenza con Jon e Daenerys a cavallo dei draghi, con la sua lunghezza estenuante, rimanda in maniera precisa alla voglia di accontentare gli amanti del fantasy attraverso l'esibizione della creatura magica per eccellenza della serie: il drago. Inoltre questo segmento narrativo si chiude con un momento ironico per certi versi inaspettato, ovvero quello dell'incrocio di sguardi tra Jon e il drago nel mezzo del bacio con la donna amata. Un momento di gelosia divertente che va ad alleggerire il tono di una serie che altrimenti rischierebbe di venire fagocitata dagli intrighi politici e dalle loro fittissime sottotrame. Come sottolineato giustamente da un ottimo articolo appena uscito su Vulture, è grazie a questa pluralità di registri che Game of Thrones è diventata una serie così apprezzata, capace di sviluppare una tonalità particolare a seconda dei personaggi e delle situazioni rappresentate, senza mai rischiare di diventare una semplice faccenda di battaglie, alleanze e tradimenti.
A proposito della gestione delle aspettative degli spettatori e della necessità di dare in pasto ai fan ciò che questi cercano, il momento del confronto tra Sam e Jon, in cui quest'ultimo viene a sapere finalmente della verità sulle sue origini, è un esempio perfetto di quello che questa premiere fa benissimo: non si tratta di una sorpresa, ma di una verità che il pubblico conosce perfettamente e che deve solo essere comunicata al protagonista nel modo migliore possibile. Per quanto riguarda invece i momenti ad alta spettacolarità, si distingue in maniera particolare l'installazione con i pezzi di Lord Umber, forse l'immagine più bella dell'episodio dal punto di vista della costruzione della tensione e della messa in quadro; una scena che risponde perfettamente alla necessità di stupire a cui si alludeva in precedenza. Tra le cose che tratteniamo da questo momento c'è anche un Night King che pur senza comparire mai fa sentire il suo peso, la sua presenza e anche la sua ironia.
Il lavoro più complicato – e per questo riuscito solo in parte – questa premiere lo deve fare su Cersei, un personaggio la cui traiettoria narrativa è ormai sempre più stretta e non pare avere tanto da fare all'interno dello show se non entrare in collisione con i suoi due fratelli. Per farlo sceglie Bronn, mercenario che è stato in passato al fianco di entrambi e che in questo caso sarà una pedina di cruciale importanza. Questa scelta è molto pericolosa perché potrebbe risultare forzata se non sviluppata bene, ma allo stesso tempo va detto che percorrere questa strada è sicuramente sensato perché utilizzare Bronn si configura forse come il modo migliore per innescare tensioni tra i tre fratelli Lannister.
Ben diverso è il lavoro fatto sulle sorelle Stark: Arya ormai è una donna adulta, pronta per un possibile love affair con Gendry, capace di dire a Jon il giusto grado di verità che gli serve e proiettata verso una stagione da protagonista (sarà interessante il rapporto col Mastino); Sansa invece è ormai una donna matura, che ha dovuto affrontare insidie che avrebbero buttato giù chiunque, uscendone però più forte e più saggia, come fa capire a Tyrion in un fulminante scambio di battute.
Game of Thrones, in conclusione, torna con una premiere molto solida, per forza di cose altamente introduttiva, ma capace di tenere in equilibrio le tante istanze a cui è chiamata a rispondere e mettere le basi per la conclusione definitiva dello show.