Scavengers Reign
Con la storia dei sopravvissuti della nave Demeter 227, il servizio streaming Max si impone come la casa di una delle stelle più luminose della fantascienza recente.
Scavengers Reign appare fin da subito come un’opera enormemente ambiziosa: la storia dei sopravvissuti della nave cargo Demeter 227 si impone come una delle stelle più luminose della fantascienza recente. Nata da un cortometraggio (Scavengers, appunto), la serie Max trova qui gli spazi e i tempi per raccontare la portata di un dramma cosmico e di una lotta per la sopravvivenza, nel tentativo di comprendere un mondo ignoto.
Di quale fantascienza stiamo parlando, innanzitutto? La fantascienza è un genere che tende a dimenticare ciclicamente se stesso, preso dalle mille tentazioni della forma che oscurano l’essenziale. La panoplia di luci al neon, metropoli tentacolari e macchine senzienti è un’esca sempre efficace per lo spettatore, ma non sempre la qualità dei soggetti e delle idee tiene il passo dello spettacolo visivo. Facile dimenticare che la sostanza dietro alle immagini non sta nelle macchine colossali e nei viaggi interstellari, ma nelle idee che queste estensioni del possibile rendono pensabili. Idee magari a noi famigliari, ma finalmente a fuoco, nitide, pronte a rivelare nuove emozioni e nuovi modi di essere umani.
Scavengers Reign appartiene a quella fantascienza che potremmo definire antropologica: si interroga su cosa sia l’umano messo di fronte alla più profonda, irriducibile alterità. L’alieno, in questo caso, non è la civiltà extraterrestre, ma una Natura ferina e indifferente ai piani dei coloni, che intacca e corrode ogni velleità di dominio, ogni ideologia della purezza. Una Natura che i protagonisti provano a domare, invano: il pianeta Vesta è vita ribollente, incontrollabile. Nessuno tra gli esseri umani protagonisti di Scavengers Reign resta “puro”, incontaminato, incontestato. Il contatto con ciò che è alieno non può che trasformare, imporre un cambiamento. Ma il rifiuto di questo confronto è impossibile e porta a sterilità o morte.
La scommessa vinta dagli autori è farci vedere e, soprattutto, sentire cosa vuol dire trovarsi alla frontiera, quella radicale Frontiera che solo la fantascienza può mettere in scena con le sue distanze e proporzioni vertiginose. Il suo vero protagonista è il paesaggio, un mondo sconosciuto che funziona con logiche radicalmente opache. Un enigma che abbraccia l’orizzonte. Animali, piante e rocce che vivono di vita propria, leopardianamente indifferenti (ma è davvero così?) alle vite e le logiche di uomini, donne e robot sopravvissuti al disastro che cercano di restare in vita o di tornare tra le stelle. Ognuno di loro arriverà alla fine del viaggio radicalmente mutato nel corpo e nella mente, costretto ad affrontare le paure e i traumi del passato per trovare la forza difare un altro passo verso la salvezza.
La scelta di uno stile di animazione tra Miyazaki e il fumetto di fantascienza classico, di una tecnica di animazione rarefatta e una palette cromatica quasi pastello, contribuiscono a rendere l’esperienza di visione ipnotica e irripetibile. Il risultato è affascinante, al punto che, a volte, ci si dimentica della fantascienza e ci si immerge in una dimensione quasi fantastica, perturbante. Se volessimo tracciare delle linee di connessione tra Scavengers Reign e il continente della fantascienza, i rimandi sarebbero infiniti. Tra tutti, Asimov, Moebius e Jeff VanderMeer. Tuttavia, anche Scavengers Reign è a sua volta un organismo complesso, un ibrido di generi e stili. I momenti migliori della serie si rivelano quando i sopravvissuti entrano in un nuovo ecosistema che si fa subito incursione in un nuovo genere cinematografico: il body horror à la Carpenter, il fantastico metafisico, il thriller.
Vesta è un pianeta-Cinema in cui è bellissimo perdersi. I sopravvissuti lo attraversano in una sorta di pellegrinaggio laico verso il relitto della loro astronave e ogni passo è un confronto, una memoria che emerge, una certezza che si sgretola. Come ogni viaggio, anche questo è un'esperienza innanzitutto interiore, di scoperta del sé, in direzione di un finale che è il culmine di tutto questo mescolarsi e creare nuove visioni da “vecchi” pezzi di cinema e di tecnologia.