The Perfect Candidate
The Perfect Candidate prosegue l'opera di denuncia di Mila Al Zahrani ma non riesce a trovare una forma e uno sguardo capaci di andare oltre i propositi del nobile messaggio

Maryam è una giovane dottoressa pronta a candidarsi alle elezioni comunali del proprio paese per asfaltare la strada dissestata che, ogni giorno, conduce le ambulanze all'ospedale in cui lavora. Peccato che ci troviamo in Arabia Saudita, dove (nella realtà) soltanto nell'agosto del 2019 è stata abolita la legge che impediva alle donne di viaggiare all'estero senza l'autorizzazione di un "tutore" (la stessa Maryam viene rimandata a casa dall’aeroporto per lo stesso motivo). Figurarsi partecipare da candidate alla vita politica locale. E infatti bastano le dichiarazioni della ragazza per scatenare l'ostilità e l'indignazione dei concittadini, donne comprese. Ma Maryam è decisa ad andare fino in fondo e tentare l'inaudito. Con The Perfect Candidate, Haifaa Al Mansour torna così nella sua terra natale, - dopo gli occidentali Marey Shalley e Nappily Ever After (distribuito da Netflix), - e al cinema di denuncia. Un ritorno che trova una collocazione, all'interno del concorso della 76 Mostra del cinema di Venezia, destinato a suscitare perplessità più che comprensibili.
In una edizione del Festival inaugurata dalle discutibili dichiarazioni della presidentessa Laura Martel rivolte a Roman Polanski, The Perfect Candidate dimostra quantomeno che, quando si parla di cinema, continueremo a preferire i grandi registi ai talenti mediocri, indipendentemente dal fatto che siano o no brave persone. Come del resto continueremo a ribadire che non bastano buoni sentimenti e nobili intenti per rendere efficace la portata del proprio messaggio. Sono al contrario necessari una visione estetica, un approccio stilistico, o per lo meno la capacità di sviluppare un’idea che non si limiti alle sue premesse essenziali, tutte cose di cui è carente il film di Haifaa Al Mansour. Appiattito da una sceneggiatura con poche intuizioni veramente fortunate (Maryam che per la propria campagna elettorale trae ispirazione dal video di un bifolco repubblicano degli Stati Uniti) e dalla totale assenza di un’autentica componente espressiva, The Perfect Candidate incarna i limiti di un cinema politicamente militante che attenua la forza della propria causa nel momento in cui si disinteressa alla forma.
È interessante il tentativo di accomunare le difficoltà incontrate da Maryam - che si confronta con un ambiente apertamente avverso - a quelle più subdole con cui deve fare i conti il padre, musicista di matrimoni e per questo vittima di pregiudizi classisti da parte della comunità. Soluzione che permette senz’altro di espandere lo sguardo morale verso una società ancora profondamente bigotta e reazionaria, attraverso pochi dialoghi e alcuni dettagli (almeno per quanto riguarda la storia del padre, più didascalica risulta invece la parte di Maryam). Come del resto è apprezzabile il coraggio e la determinazione con cui l’attrice Mila Al Zahrani dà vita alla protagonista. Ma, nella reiterazione delle situazioni e nell’insistenza con cui si afferma lo stesso (importante) messaggio senza la capacità di approfondirlo, anche le idee migliori restano relegate a livello di meri spunti.
Haifaa Al Mansour è una di quelle personalità la cui importanza storica supera quella artistica. Se essa, unica regista dell’Arabia Saudita, è riuscita a scalfire anche in minima parte un sistema oppressivo con il suo esempio lo si deve in primis al coraggio del gesto, all’urgenza di una voce che ha deciso di non assecondare il pensiero egemone. E questo non possiamo sottovalutarlo. Ma nel momento in cui siamo chiamati a valutare l’opera all’interno di un concorso come quello veneziano, allora non possiamo astenerci dal dire che è davvero troppo poco.