Howl
Un monster movie in piena regola, notturno e claustrofobico, ancorato fedelmente alle coordinate di genere più essenziali: nessuna implicazione sociale o politica, ma soltanto puro entertainment.
Sembra che nell’aria ci sia una gran voglia di ritornare ai mostri classici, almeno per quanto concerne buona parte del cinema fantastico odierno. E se non stupisce più di tanto la notizia che la Universal voglia riesumare il proprio lotto di creature “storiche” (Dracula, Frankenstein, La mummia, L’uomo lupo ecc.) con almeno una nuova produzione all’anno, altrove non si resta con le mani in mano.
All’ultimo Festival di Torino, per esempio, è appena stato presentato l’irlandese The Hallow, storia di folklore e di creature del sottobosco, ed ecco arrivare invece dall’Inghilterra questo Howl, diretto dallo specialista di effetti di make up Paul Hyett, già collaboratore di Neil Marshall e Jaume-Collet Serra. Un monster movie in piena regola, notturno e claustrofobico, che non sembra avere alcuna intenzione di sconfinare dalle coordinate di genere più pure e semplici: nessuna implicazione sociale o politica, nessuna ambizione autoriale che non sia quella – a volte sacrosanta – di realizzare un film di creature vecchio stampo, nonostante l’inevitabile utilizzo della CGI (che comunque qui è tenuta sotto controllo).
Durante un viaggio notturno in treno, il convoglio subisce un guasto ed è costretto a fermarsi in aperta campagna; in attesa dei soccorsi, i passeggeri cominciano a essere massacrati da un gigantesco uomo lupo che li costringe a rimanere asserragliati all’interno delle carrozze, nonostante la situazione porti molti sopravvissuti ad esprimere il peggio di loro stessi. Nulla di nuovo sotto il sole, ovviamente: Howl guarda al cinema d’assedio di matrice carpenteriana (con i protagonisti dentro e la minaccia fuori), e non evita i luoghi comuni nella caratterizzazione di alcuni personaggi. Eppure, l’esperimento funziona. Hyett dimostra un notevole senso della suspense, sfruttando al meglio l’ambientazione ferroviaria in relazione con la (quasi) totale unità di tempo, e realizza un survival in piena regola, che nella seconda metà sembra abbracciare di petto il sottogenere di appartenenza moltiplicando le sue creature mostrando quella che sembra essere una vera e propria tribù di licantropi alle porte di Londra. Senza spiegare l’origine di nulla, ed è un bene. E senza neppure lesinare su alcuni tocchi di ironia, e pure questo è un altro bene.
Nella sua semplicità e immediatezza, quindi, Howl piace perché recupera un ruolo che il cinema dell’orrore oggigiorno sembra avere abbandonato e dimenticato: quello di raccontare una storia notturna e ricca di tensione, popolata di creature ancestrali ben radicate all’interno dell’immaginario collettivo ma ancora ricche di fascino e personalità. Per una volta, senza lasciare che il discorso si sposti sull’Uomo, sul mondo o sulla società. Puro entertainment, insomma: evviva. Il film ha vinto il Premio Nocturno “Nuove visioni” all’ultima edizione del Trieste Science + Fiction.