Giovanissima regista catalana – è nata nel 1981 –, Mar Coll è salita alla ribalta, con forza, con merito, agli ultimi Goya Awards dove ha vinto il premio come “Mejor Director Novel”. (Ex)Studentessa della famosa ESCAC (Escola Superior de Cinema i Audiovisuals de Catalunya) di Barcellona, Mar Coll rappresenta, a tutti gli effetti, un’eccezione splendente – e, speriamo, duratura – all’attuale paradigma cinematografico (per le sue capacità artistiche, per la sua parabola produttiva). L’abbiamo incontrata all’ultima edizione del “Festival del cine español”, dove presentava in anteprima il suo pluripremiato Tres dies amb la família -da noi recensito nella sezione RetroVisioni.
Mar Coll: regista, sceneggiatrice, studentessa alla ESCAC (Escola Superior de Cinema i Audiovisuals de Catalunya) dell’Università di Barcellona. Cosa manca a questo quadro? Parlaci della Mar Coll donna, che ha studiato ad un Liceo Francese e condivide con la protagonista del film, Léa, lo stesso humus familiare e sociale.
Le similitudini, in primis, sono generazionali. Infatti quando ho scritto la sceneggiatura avevo 23 anni, quasi quanti Léa, che nel film è una ventunenne. A legarmi a lei ci sono fondamentalmente due cose: come Lèa ho un carattere “emozionale” e una famiglia che poco esprime le emozioni. Ma contemporaneamente Léa è il mio “lato oscuro”, grazie a lei ho potuto esprimere la visione inconscia del conflitto con la mia famiglia.
Tres dies amb la família è il tuo primo lungometraggio. Cosa significa questo a 28 anni? Quanta forza, vita, idee hai dovuto mettere per realizzarlo?
Il mio è un caso eccezionale: non ho dovuto faticare molto per girare questo film grazie al supporto tecnico, logistico e umano che la mia scuola di cinema mi ha dato. Hanno infatti accettato il progetto e mi hanno subito aiutato. Hanno capito che non avevo molta esperienza – oltre al fatto che ero insicura! –, ma i miei compagni di scuola, ovvero la mia troupe, mi hanno aiutata facendomi sentire meno responsabilizzata come regista, aiutandomi a vivere questa esperienza in maniera più semplice.
Questo lavoro, assieme al precedente La ùltima polaroid, sono attraversati dal sentimento del distacco, della perdita, del ricordo che presto, forse, potrebbe svanire. Quanto importante per te è questa cifra poetica, quanto ci dice del tuo mondo, del mondo?
Uno dei punti centrali del mio interesse è la distanza che intercorre tra quello che diciamo e quello che proviamo. Questa distanza, quindi, può essere considerevole o infinitesimale, a seconda dei protagonisti che analizziamo. In particolare mi piace mostrare l’inadeguatezza emozionale che è in ognuno di noi.
Tres dies amb la família è prodotto dalla Escàndalo Films, la casa di produzione della ESCAC, per il progetto “Opera Prima”. Pensi che la notorietà e i premi vinti possano aprire la strada a nuove forme di produzione e circuitazione con protagonisti le università, le accademie, le scuole di cinema?
Il progetto “Opera Prima” sta riscuotendo molto successo, sia in Spagna che all’estero – alcune città dell’America Latina stanno seguendo questo nostro modello. Questo modello produttivo/artistico/legislativo è così vincente che due dei diplomati alla ESCAC che hanno lavorato al mio film, cioè Elena Ruiz e Jons Neumaier, erano reduci da due lavori importanti ed internazionali: rispettivamente, il montaggio di The Orphanage e la colonna sonora di Vicky, Cristina, Barcelona. La peculiarità di tutto questo progetto è che i giovani che ne sono protagonisti non hanno nessuna esperienza ma, semplicemente, talento, e il pubblico si è accorto di questo, premiando i nostri lavori in termini di visibilità ed incassi.
Sia con questo lavoro che con il precedente hai avuto numerosi riconoscimenti: Goya Awards, Gaudì Awards, Iberoamerica Short Film Competition, Sant Jordi Awards etc. Cosa pensi del mercato cinematografico attuale e delle vetrine per eccellenza, i festival?
Il mercato cinematografico in Spagna è decisamente mediocre. I festival sono vari ma con poco riscontro commerciale nel paese. Solo alcuni hanno una risonanza internazionale, come quello di Malaga. Ma anche lì il problema rimane: essendo un festival prettamente “autoriale”, che si compone quindi di film fortemente “artistici”, è veramente difficile che tali lavori varchino i nostri confini nazionali. Il contrario avviene al Festival di San Sebastian, palcoscenico solcato da opere più “vendibili” che riescono ad avere un circuito internazionale ma che hanno minori pretese artistiche alla base.