Intervista a Marco Luca Cattaneo

Marco Luca Cattaneo è uno dei nuovi volti della cinematografia indipendente italiana. Giovanissimo, laureato al DAMS di Bologna e con esperienze di cortometraggi e documentari alle sue spalle, crea un piccolo grande caso cinematografico con Amore liquido, suo primo lungometraggio di finzione. Girato a Bologna, senza sovvenzioni statali, costato solamente 25mila euro grazie all’autoproduzione del progetto che ha visto coinvolti il regista e larga parte del cast artistico, Amore liquido vince il RIFF di Roma del 2010 come miglior film italiano. Autodistribuito e presentato con successo nelle sale, il film in questi giorni ha attraversato l’oceano per approdare al Festival di San Paolo in Brasile e contemporaneamente è stato selezionato al Festival du Film Italien di Villerupt, in Francia. Point Blank, durante questa fortunata coincidenza, ha incontrato il regista Marco Luca Cattaneo.

Innanzitutto facciamo il punto della situazione. A che punto siete arrivati con Amore liquido? Dopo le quattro settimane di programmazione presso il Nuovo Cinema Aquila di Roma e alcune a Sarzana, in provincia di La Spezia, come procede il percorso del film?

Amore liquido è stato proiettato il mese scorso per due settimane a Bologna ed è andato molto bene in termini di pubblico. Ad oggi, però, il film è fermo, non è in circolazione, anche perché l’opera incontra più problemi di altre poiché è in digitale, e sale in grado di proiettare con questa tecnologia ce ne sono ancora molte poche in Italia. Stiamo comunque continuando a cercare nuove proiezioni, anche estere.

Il film ha vinto l’ultima edizione del RIFF di Roma come miglior film italiano, e ha rappresentato un caso produttivo e realizzativo del tutto particolare. Autoprodotto, autodistribuito e che può contare su un amore profondo che ha interessato per primo il cast stesso dell’opera. Mi riferisco, fra gli altri, a Stefano Fregni. Puoi spiegarci meglio come l’attore arriva sul set del tuo film e che ruolo ricopre?

Il lavoro realizzativo e quello con Stefano Fregni vanno di pari passo, mentre l’iter produttivo singolare è stato dettato dagli eventi. Avevamo la profonda volontà di girare un film e da Bologna – città in cui vivevo quando Amore liquido era ancora allo stato embrionale – tutto ciò non si poteva fare. Ho capito che occorreva spostarsi a Roma per realizzare il film, perché città cinematograficamente professionale. L’impresa era folle, evidentemente, ma per fortuna non ce ne rendevamo conto. Dovevamo cercare degli attori e Roma per i casting offre più opportunità di Bologna. Stefano Fregni l’ho conosciuto così. Al suo casting ho capito subito che era l’attore giusto per interpretare Mario, sia per le sue qualità fisiche che per la sua aria timida e placida. E se io ho capito subito che Stefano era l’attore giusto per il film, lui ha capito altrettanto alla svelta il profilo auto organizzato del progetto. L’ha preso a cuore: ha letto la sceneggiatura e si è messo con noi a fare i casting, specialmente per scovare l’attrice più giusta per impersonare Agatha, la donna con cui avrà una storia sentimentale nel film. Una volta conclusa l’opera è divenuto produttore associato e ha curato persino il montaggio del film. Stefano è andato oltre, per un film che pretende che chi lo crea vada oltre ai suoi compiti. Un film come Amore liquido non può essere abbandonato nel mare del commercio cinematografico come un’opera canonica: naufragherebbe. Stefano oggi sta curando la promozione del film, come io stesso ho curato promozione, distribuzione ma anche montaggio e reperimento fondi, perché il film lo necessita, e i risultati fortunatamente arrivano.

Ora addentriamoci nel film. Prima domanda, forse obbligata: Amore liquido mutua il suo nome dal titolo del saggio di Bauman. Oltre ai facili e numerosi giochi dialettici per i quali Bauman può essere tirato in causa, volevo sapere perché hai deciso di chiamare proprio come il lavoro del sociologo la tua opera.

Beh, questo titolo è chiaramente un omaggio al filosofo e sociologo polacco. Sai, i suoi scritti, per loro natura, possono essere innestati in qualsiasi contesto, tant’è che ciò si sta facendo in molti luoghi intellettuali e spesso a sproposito. Il mio film parla delle difficoltà relazionali nella società contemporanea e quindi il rimando a Bauman è calzante; ma in verità ho voluto questo titolo perché condivido il suo pensiero in generale e credo di averlo tradotto – magari in parte – nel mio film. E poi il titolo del suo saggio è accattivante e ho creduto potesse essere ottimo anche per titolare un film. Inoltre mi sono laureato al DAMS di Bologna su Marco Ferreri e le relazioni fra uomo e donna presenti nelle sue opere, e per questi studi ho letto molto Bauman. Forse sembrerà sciocco, ma l’idea di riportare, di rimandare, i miei studi al mio primo film non me la sono voluta lasciar sfuggire!

Approfondiamo quanto detto finora. Risalta subito agli occhi, complice anche il progetto indipendente e quindi con un percorso più difficoltoso per il film stesso, che le dinamiche che hai voluto affrontare – cioè le difficoltà relazionali nella società contemporanea – potevano essere rese in tanti modi diversi, di cui la pornografia online pare sicuramente il più coraggioso ma anche il più pericoloso. Perché hai scelto, fra i tanti possibili, proprio questo tema?

Ci ricolleghiamo a Bauman: la fragilità dei rapporti umani ha delle caratteristiche peculiari, di cui la pornografia online mi è sembrato un ottimo tema, sia perché poco esplorato ma anche perché fondamentale, cruciale. La pornografia online detta i ritmi umani di moltissime persone, solitudine compresa. La solitudine e la sua traduzione sociale mi interessa molto: chi sono i porno dipendenti quando non sono davanti al loro computer? Che vite conducono? Li conosciamo personalmente? Quanto influenzano le nostre vite? Sono domande che ritengo determinanti. Il lavoro che ho svolto per preparare il film è stato anche di tipo antropologico, d’inchiesta: in un primo momento sono rimasto molto interessato dal libro Pornopotere di Pamela Paul, edito da Orme Editori, che si fondava proprio sulle interviste ai porno dipendenti. Io ho fatto altrettanto: ho intervistato molte persone afflitte da questa patologia e ho accordato Mario, il personaggio interpretato da Stefano Fregni, sui dati che gli intervistati hanno fatto emergere. Nei miei film io metto ciò che conosco, ciò che ritengo interessante, e tale tematica per me lo è.

E l’ombra della pedopornografia, in tutto ciò, come entra nel film?

Ad alcuni spettatori l’incursione di questa tematica ha disturbato. È un tema delicato e spinosissimo, lo riconosco. Ma l’ho voluto inserire per dare coerenza al progetto investigativo di cui parlavo: da molte interviste fatte per il film è emerso che i porno dipendenti, in una scalata morbosa alla perenne ricerca di contenuti pornografici sempre più spinti, arrivavano a questa devianza. Occultare un dato così cruciale non mi sembrava corretto, non volevo autocensurarmi, e quindi ho ritenuto giusto inserirlo comunque in Amore liquido.

Certo è che il tuo film può dirsi coraggioso, addirittura sin troppo. Per delle tematiche spinose e poco sondate come quelle appena raccontate, te aggiungi una messa in scena naturalistica, realistica, molto vicina al documentario, poco nelle corde delle grandi platee che vanno al cinema. Di più: racconti una vicenda amorosa – quella fra Mario e Agatha – che poteva essere benissimo resa attraverso una messa in scena melodrammatica, e quindi più consonante ai gusti del pubblico. Invece continui a perseguire la linea naturalistica. Questa estetica da dove la mutui?

Non mi piace parlare di naturalismo, né di realismo, di neorealismo o di neo-neorealismo. Preferisco dire che la mia struttura è poco drammatica, poco classica. Il mio linguaggio, quello che ad oggi uso, mi è venuto molto naturale, nient’affatto studiato artificiosamente. Posso dire che uno stile come quello adottato in Amore liquido nasce anche per la mancanza di mezzi, ma non in maniera così decisiva. In presenza di un budget meno ridotto avrei mosso di più la macchina da presa, mi sarei concesso qualche inquadratura in più, ma non credo che il risultato sarebbe stato poi così diverso da quello che si può vedere nel film. Sono molto convinto che sia molto più difficile tenere la macchina da presa ferma che il contrario. Spesso chi muove molto la macchina da presa è perché non sa come inquadrare il suo soggetto, la sua sequenza. Quindi preferisco un’estetica più immobile, rarefatta ma funzionale. Anche questo – credo – lo mutuo dai miei studi su Ferreri: lui prediligeva far muovere più gli attori e meno la macchina da presa, con un piacere del piano sequenza evidente. È un modo di girare come altri, in fondo, e mi è venuto spontaneo, forse anche perché io vengo dal mondo del documentario. Volevo seguire Mario nella sua quotidianità, e mi è sembrato giusto registrare i suoi movimenti, i suo dialoghi, le sue espressioni in questa maniera. Credo crei la giusta atmosfera. Sono del parere che lo stile si debba adagiare al progetto: per Amore liquido ho preferito girare così, magari nel prossimo film cambio!

Avviandoci verso la conclusione, volevamo sapere cosa ne pensi della cinematografia nazionale indipendente. Credo si possa affermare che questa ha dei fisiologici limiti produttivi e realizzativi, ma che è anche il settore cinematografico che in questi ultimi anni in Italia sta dando più soddisfazioni, più materiale veramente artistico. Soprattutto: dieci anni fa si pensava che con l’avvento del digitale qualsiasi regista da due soldi avrebbe potuto creare il suo film, inquinando con le proprie mediocrità il panorama cinematografico. Ora questo, tecnicamente, è vero e possibile, ma di fatto l’avvento di queste nuove tecnologie sta facendo emergere molta più indipendenza e necessità espressive, con grande qualità di contenuti ed estetiche nuove. Come leggi tu tale quadro?

Concordo. Credo e ho sempre creduto nell’indipendenza, intellettuale e artistica del cinema, molto prima che questa fosse etichettata col termine “indipendente”. Credo che l’assoluta libertà autoriale – per chi fa cinema autoriale, però! – significhi sempre molto in termini artistici. Crea libera espressione, con tutti i rischi e le potenzialità del caso. Negli ultimi anni, come osservi te, le cose più interessanti sono sempre arrivate da film ultra indipendenti, rivelatisi dei casi autoriali ma anche commerciali. Penso al film di Giorgio Diritti, Il vento fa il suo giro, che da poche copie previste per la distribuzione è poi riuscito comunque a conquistare una vasta fetta di pubblico, ben oltre qualsiasi aspettativa derivata dai distributori. E per quanto riguarda le vecchie idee sul cinema digitale: beh, i fatti sono qui a smentire quanto si andava fantasticando dieci anni fa. Ma forse tutto ciò è anche inevitabile, dettato dal sistema industriale del cinema stesso. Quando c’è molta chiusura, molta “dipendenza” come oggi, credo sia normale che si crei una reazione di pari intensità nel mondo “indipendente”. Ovviamente tutto ciò è drammatico da un punto di vista ideale: certe dinamiche non dovrebbero esistere in forme così aspre, ma possiamo registrare con piacere che c’è fermento, c’è resistenza, specialmente nel panorama romano. Forse un fermento più sparpagliato, meno coeso, ma esistente. E poi pensiamo ad Amore liquido: non solo è riuscito ad arrivare nelle sale, ma ha anche avuto pubblico, e tanto! Il fermento, e anche questo mi pare interessante, non è quindi solo autoriale, ma ha anche il suo corrispettivo, la sua presenza e la sua spinta fra il pubblico delle sale.

E per concludere, stavolta davvero… Progetti futuri? Prossimi impegni?

Per il momento Amore liquido ha ancora bisogno di essere seguito. Il film è ancora giovane, sento che non ha espresso tutto il suo potenziale. Sto continuando a stargli appresso. Ha ancora una sua vita, va seguito e non abbandonato, e sto proseguendo nella distribuzione, sperando anche in qualche proiezione nelle sale straniere. Ma nei ritagli di tempo sto portando avanti un mio nuovo progetto, anche questo incentrato su un’altra grande ossessione italiana, che è la sicurezza. Sto scrivendo un trattamento sulle ronde padane, da ambientare nel nord-est nazionale. Stiamo già cercando attori, insieme ancora a Stefano Fregni che è già parte fondante del progetto. Grazie anche al piccolo grande caso che è Amore liquido sto tentando di cooptare nel lavoro qualche attore noto della scena italiana perché – piaccia o non piaccia – ti apre possibilità realizzative e distributive sicuramente meno problematiche e sfiancanti di quelle venutesi a creare per Amore liquido. Spero nel 2011 di poter vedere realizzato questo progetto, che comunque sta già registrando antipatie fra i possibili produttori a causa del suo tema politicamente delicato. Pensa: recentemente siamo stati a Montreal per un festival dove il mio film veniva proiettato. Stefano Fregni ha incontrato un produttore canadese che si è dimostrato subito interessato a co-produrre questo nuovo progetto, mentre in Italia i responsi sono molto più timidi. Inoltre il film vuole basare parte delle sue forze sul cast attoriale e umano che si è venuto a creare in Amore liquido. Quindi oltre a Stefano Fregi – che sarà un “capo ronda” molto lontano, anche fisicamente, dal Mario di Amore liquido, e per cui il personaggio principale è stato scritto già pensando a lui – spero di riuscire a coinvolgere nell’opera anche Sara Sartini e Simonetta Solder. Staremo a vedere…

Autore: Emanuele Protano
Pubblicato il 06/11/2014

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