Torino 2020 / Breeder

di Jens Dahl

Il regista danese Jens Dahl firma un horror/thriller dalle idee solide ma dall'esecuzione problematica

Breeder - recensione film Dahl

Una coppia benestante in un quartiere signorile. Lo sguardo insistito sui corpi e la sensazione che, dietro a queste algide apparenze, si celi un cuore di tenebra fatto di rapacità e violenza, nel quale una veterinaria con ambizioni da demiurga rapisce giovani donne per estrarre il segreto dell'eterna giovinezza dai loro giovani corpi.

Lo sceneggiatore e regista danese Jens Dahl porta sul grande schermo un horror/thriller che muove da alcune idee di grande spessore che, se non proprio inedite per il cinema, sono esplorate da un punto di vista non banale. L'orrore alla base di Breeder è l'ossessione per la giovinezza e la sempre più radicale asimmetria tra chi può permettersi di preservarla e chi, invece, sacrifica il corpo e le energie ai capricci del Capitale e alle vanità delle élite. Si tratta di un tema che, in varie modulazioni, attraversa l'intera storia della cultura umana: i sacrifici umani per preservare la salute del Re in svariate culture e mitologie, la ricerca dell'immortalità da parte di Gilgamesh, la riduzione dei corpi a merce nelle economie schiaviste sono tutte riconducibili all'idea generale di trasferire forza vitale (o forza economica, a sua volta convertibile in vita e sangue) dalla base ai vertici della piramide sociale. I beneficiari dei trattamenti per ringiovanire, in Breeder, sono i baroni del capitale, specialmente uomini: "curare" la vecchiaia, per le donne, è qualcosa che si scopre solo in seconda battuta da una costola del trattamento per i geni maschili. E il braccio violento di questa cura sta nel consumo dei corpi e nella violenza necessaria per disciplinarli o, più banalmente, per umiliarli e ridurli allo stato di sub-umani, bestie da soma (nel senso greco del termine). Non è un caso che i due sgherri dell'antagonista siano dei grotteschi, sadici uomini-bestia di cui conosciamo solo il soprannome: il Cane e il Maiale.

Si tratta di idee dal forte potere evocativo, sufficienti ad alimentare un cinema dell'orrore sotto la pelle e dentro le relazioni sociali; un orrore della carne, profondamente disturbante e radicalmente politico. Breeder, purtroppo, manca parzialmente il bersaglio. In quanto opera di genere, il film non riesce a mettere a fuoco la componente più sottile e psicologica di questo orrore e ripiega, invece, sulla violenza parossistica, sulla messa in scena insistita del sadismo dei carnefici e della gelida amoralità dell'antagonista. Una violenza pervasiva, shockante a tratti, che non riesce però a rappresentare altro che se stessa. Dahl manca l'obiettivo di andare oltre certe ingenuità del cinema exploitation e farsi, per usare un'espressione di David Roche, "exploitation dell'exploitation"[1]: una messa in scena della violenza come strumento critico e destabilizzante. La metafora politica del film è chiara, ma è altrettanto netta la distanza tra ciò che si vuole dire e gli strumenti messi in scena per farlo.

Dunque, Breeder è un film incompleto, che funziona solo a metà. Mette in campo le giuste pedine e le giuste idee ma non riesce ad esprimerle compiutamente, complice una serie di scelte di fotografie e regia che non riescono a nasconderne le debolezze Soprattutto, Breeder non trova il modo di concludere il suo discorso. Il finale è la parte più debole dell'opera e, al di là della prevedibile catarsi, si risolve in facili stereotipi e un ritorno a una relativa normalità che sembra del tutto incompatibile con le sue premesse. Ci auguriamo che il cinema possa raccogliere il testimone e realizzare, in futuro, il film che Breeder avrebbe voluto essere.

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[1] David Roche, «Exploiting Exploitation Cinema: an Introduction», Transatlantica, 2015. URL: http://journals.openedition.org/transatlantica/7846

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 27/11/2020
Danimarca 2020
Regia: Jens Dahl
Durata: 107 minuti

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