I Trapped The Devil
L'esordiente Josh Lobo parte da un'intuizione semplice ed essenziale e dà vita a un piccolo horror indipendente tra paranoia e ambiguità.
Il Diavolo, certamente. O perlomeno questo racconta al fratello Matt (A.J. Bowen) l'instabile e problematico Steve (Scott Poythress) a proposito dell'identità del suo misterioso prigioniero, chiuso dietro una miriade di croci e lucchetti nello scantinato di casa.
Parte da un'intuizione semplicissima I Trapped The Devil, un'idea essenziale quanto risaputa cui l'esordiente Josh Lobo riesce però a dare una forma inedita, costruendovi tutt'attorno un piccolo horror dall'atmosfera e dai ritmi ben calibrati, che gioca con l'ambiguità e la paranoia e fa dell'esiguità di mezzi il suo principale punto di forza.
Perché se è vero che l'idea del Male imprigionato, magari nello scantinato di una vecchia casa di famiglia, non è certo cosa nuova nel nostro immaginario seriale e cinematografico, da Ai confini della realtà (l'episodio Ululati nella notte) fino a Castle Rock, passando per La Casa, è interessante come tale spunto venga declinato e plasmato da Lobo in un prodotto perfettamente in sintonia con il gusto di certo cinema horror indipendente contemporaneo. È così che un'intuizione a misura di serie antologica viene dilatata dal regista esponenzialmente, mettendo in scena, assieme a immancabili trovate espressive tipicamente indie, un senso di attesa e di inquietudine opprimenti e mantenendo fino all'ultimo un'ambiguità di fondo fondamentale per la riuscita dell'operazione.
In linea con la tendenza di prodotti simili, impegnati a suggerire l'orrore piuttosto che a mostrarlo, I Trapped The Devil si affida così quasi interamente alle sue atmosfere cupe (intervallate dalle immancabili luci di qualche addobbo natalizio), a interpreti in parte (su cui spicca l'ossessivo Steve di Poythress) e a quel senso di angoscia costruito inquadratura dopo inquadratura, capace di delineare, con pochi tratti e suggestioni, un male senza contorni ne confini.
E se la risoluzione finale arriva repentina e forse in modo troppo grossolano, togliendo in parte forza a quell'attesa costruita a regola d'arte nei minuti precedenti, resta innegabile la cura formale e il tocco di un regista capace di imbastire una vicenda di ossessione, senso di colpa e morte partendo da poco più di un pretesto, da poco più di un'immagine iconica e terribile impressa nel nostro immaginario, e da quella sottile ambiguità tra paranoia e orrore che da sempre sottende.