La corte

Il nuovo film di Christian Vincent è un'intelligentissima commedia travestita da legal-movie, capace di scoprire, in pochi sguardi, un mondo di tenerezza.

Nel nuovo, delizioso film di Christian Vincent, ogni cosa sembra far rima con due. Tutto è doppio, ogni uomo è anche un altro uomo, eppure solo una delle due facce si dimostra realmente importante.

Racine è sia l’odioso, severissimo presidente della corte d’assise, sia l’uomo solo e abbandonato, quello che non ha mai imparato a vestirsi e che si aggira goffamente nei paraggi del tribunale, invaghito di una giurata che aveva conosciuto mesi prima. Egli si trova in equilibrio tra due leggi, due mondi, due identità: la via della giustizia, del tribunale/spettacolo di cui è attore e regista, e quella vulnerabile, friabilissima dell’amore.

A prima vista, infatti, La corte sembrebbe un legal-movie come tanti ma, ben presto, si comprende come l’intero processo, completamente privo di pathos, rappresenti in realtà un autentico macguffin. Un pretesto, una falsa pista, perché ciò che interessa al film è l’altra faccia della medaglia, non il corpo attoriale/istituzionale del Presidente ma quello intimo e privato. La corte opera allora uno slittamento di campo, nonostante per la maggior parte della sua durata sia ambientato all’interno del tribunale. Eppure a Christian Vincent bastano pochi istanti per aprirsi a un mondo sotterraneo, un mondo d’affetti e tenerezza, un mondo autentico, anarchico, libero dalla recita del giudizio quotidiano.

La corte disvela quell’alterità che Racine aveva sempre respinto e, in un attimo, la pone al suo stesso piano, alterando le prospettive, sovvertendo le posizioni. L’altro non è più l’oggetto da giudicare ma il soggetto da amare, con cui aprirsi e a cui confidare le proprie debolezze: il passaggio avviene dal regime verticale del tribunale a quello orizzontale della storia d’amore. E, libero da strutture verticali, il film rivela tutta la sua delicatezza, trovando in Fabrice Luchini un corpo attoriale perfetto, capace, con un solo sguardo, di slittare dalla rigidità della forma alla forza del sentimento. La corte può realmente esplodere solo quando tutte le tante, tantissime parole vengono consumate e non rimane spazio che per uno sguardo, l’unico che conta veramente, l’unico che scalda il cuore.

Già visto all’interno del (serioso) concorso di Venezia72, La corte ci è apparso subito come una boccata d’ossigeno, una piccola lezione di cinema che splende per il suo tocco leggero e raffinato. Dimostra inoltre come in Francia possa esistere anche un’altra commedia che, con garbo e intelligenza, è ancora in grado di parlare dell’uomo e dei suoi limiti, dell’inconsistenza delle maschere, della goffaggine della vita quotidiana, della verità degli affetti. E, nella semplicità della messa in scena, Vincent riscopre un mondo in cui rispecchiarsi, ritrovando perfino un candore perduto e continuando a credere, in totale, mirabile controtendenza, alla bellezza dell’uomo. Come se chiunque, perfino il più odioso, il più lascivo, il più misantropo dei personaggi, potesse un giorno tornare a vivere e ad amare. L’importante è aprire gli occhi per ritrovarsi a naufragare nello sguardo altrui.

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 06/09/2015

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