The Looming Tower
La miniserie di Hulu, distribuita da Amazon Prime, rievoca gli eventi che hanno preceduto l’11 settembre, tra piglio documentaristico e licenze narrative.
Era inevitabile che dopo il grande successo di critica e pubblico di The Handmaid’s Tale, ci si aspettasse molto dall’ultima trovata di Hulu, The Looming Tower, miniserie di dieci episodi tratta dall’omonimo bestseller sui preparativi degli attacchi dell’11 settembre che valse il premio Pulitzer per la saggistica a Lawrence Wright nel 2007. E stando alle reazioni dei critici delle maggiori testate internazionali e al punteggio ottenuto su noti aggregatori di recensioni non si può certamente dire che le aspettative siano state, generalmente parlando, disattese.
Il tema, politicamente spinoso e delicato, narrativamente complesso e a rischio di facili derive, non è dei più semplici. Si parla di Al-Qaeda, di servizi segreti statunitensi e uffici della sicurezza nazionale, CIA, FBI, reti terroristiche da ricomporre, ricostruzioni accurate da fare. Siamo nel reame della non-fiction e, per quanto un messaggio all’inizio di ogni puntata informi lo spettatore che «alcuni personaggi, caratterizzazioni, incidenti, luoghi e dialoghi sono stati romanzati o rimaneggiati per scopi drammaturgici», la necessità di fondo di The Looming Tower è, inevitabilmente, quella di un prodotto documentaristico: il rispetto, più o meno pieno, della verità dei fatti.
Non è un caso, dunque, che il team creativo abbia dovuto affrontare mesi e mesi di preparazione in pre-produzione, intervistando le controparti reali dei personaggi che stavano cercando di portare sullo schermo. A partire da Ali Soufan, l’agente federale di origini libanesi direttamente coinvolto nelle operazioni anti-terrorismo pre 09/11 – su cui aveva scritto un libro di memorie – e interpretato nella miniserie da Tahar Rahim (protagonista del premiatissimo film di Jacques Audiard, Il profeta), per finire a membri dell’I-49 dell’FBI e della Alec Station della CIA, i due team votati alla caccia a Bin Laden e ai vertici di Al-Qaeda sulla cui rivalità si fonda gran parte della narrazione. E non è altrettanto casuale che Soufan e Wright, dalla cui primaria intesa nasce il proposito di trasformare scritti ed esperienze in un prodotto televisivo, abbiano deciso di fare squadra con un documentarista puro come Alex Gibney, cui si aggiunge, a chiudere il cerchio, lo showrunner Dan Futterman, sceneggiatore di Capote e Foxcatcher.
The Looming Tower prende il meglio dai loro diversi stili narrativi, mescolando abilmente e vivacemente le diverse storyline che attraversano le dieci puntate della miniserie. Da un lato c’è l’asciutta esposizione in ordine cronologico dei fatti storici e delle procedure d’indagine (con tanto di inserimento di materiali d’archivio), dai tristemente noti attentati del 1998 alle ambasciate statunitensi in Kenya e Tanzania fino all’attacco alle torri gemelle; dall’altro ci sono i rapporti interpersonali e la caratterizzazione dei protagonisti.
L’ampio spazio dedicato alle vite private di Ali Soufan e del capo del centro di anti-terrorismo di New York John O’Neill (Jeff Daniels), ad esempio, consente alla serie di aprire spiragli interessanti su temi come il rapporto con la religione, il bilanciamento vita-lavoro, l’amore, l’equilibrio tra ambizioni personali e dedizione alla propria missione di salvaguardia del Paese. Allo spettatore viene quindi offerta la possibilità di approfondire gli eventi che hanno preceduto gli attentati dell’11 settembre senza rinunciare a riflettere sulle qualità e sulle debolezze degli uomini che fallirono nel compito di prevenirli. Questo aspetto, la volontà di riflettere sulle responsabilità delle agenzie di intelligence americane, viene peraltro potenziato da una brillante trovata di montaggio, che consiste nell’inserzione di brevi sequenze contenenti alcuni momenti, fedelmente ricostruiti, delle audizioni della Commissione Nazionale sugli Attacchi terroristici contro gli Stati Uniti (anche nota come la 9/11 Commission).
Le domande poste a membri dell’I-49 e della Stazione Alec a partire dal 2002 rivestono un’inequivocabile funzione di commento, storicamente validato, sulle azioni al centro del presente filmico, pre-attentato. Sono parte del verdetto che inchioda entrambi gli organismi di sicurezza alle loro responsabilità, messe nero su bianco nel rapporto finale della commissione. Uno dei meriti di The Looming Tower è proprio questo: la capacità di mantenere, finalmente, ora che sono passati più di tre lustri dal crollo delle torri, la giusta distanza da fatti e personaggi, tenendosi lontano dai trionfalismi e serbando un sano scetticismo nei confronti dei personaggi, cui però non fa mai mancare una buona dose di umana comprensione.
Del resto, è noto, col senno di poi è facile valutare le conseguenze di ciò che è stato. Tenendo bene a mente il verdetto storico, allora, la miniserie di Hulu prova a ridare spessore e dignità, sangue e lacrime, alle figure che più di chiunque altro avrebbero potuto evitare il più grave episodio di attentato terroristico della storia contemporanea. A partire da quel John O’Neill, protagonista indiscusso, che nonostante il debole per donne e lusso, ebbe realmente a cuore la vita dei suoi concittadini. Fino a morire, con tragico paradosso, proprio a seguito dagli attentati che non era riuscito a fermare, nel crollo del WTC, di cui era nel frattempo diventato capo della sicurezza.
Testimoni riportano che stava coordinando i lavori di evacuazione dai piani superiori, mettendo a rischio la sua stessa vita, quando la torre sud cominciò a collassare.