Peterloo
Una ricostruzione del massacro di Peterloo che invita a posizionarsi “fisicamente” nel presente.
Manchester, 16 agosto 1819. Durante una grande manifestazione radicale a favore dell’adozione del suffragio universale nel Regno Unito, una folla di oltre 60 mila persone viene caricata dalla polizia a cavallo presso St. Peter’s Field. Undici manifestanti rimangono uccisi, un centinaio restano feriti. Quello che è passato alla storia come il “massacro di Peterloo” (invenzione giornalistica ispirata a quello appena concluso di Waterloo) è considerato tra gli eventi più incisivi nel percorso di elaborazione della riforma elettorale del 1832, che aumentava il numero di cittadini britannici con diritto di voto (uno su sei). Il suffragio universale, maschile e femminile, sarà introdotto in Gran Bretagna soltanto nel 1928, ma i fatti di quella mattina passarono alla Storia come uno dei momenti più importanti di quel processo di disseminazione europea dello spirito rivoluzionario francese. Non per caso, Peterloo è ricordata come uno dei primi eventi storici ad aver ricevuto una copertura mediatica immediata senza precedenti per la stampa periodica britannica.
Il film di Mike Leigh, presentato in Concorso a Venezia 75, riprende fedelmente i fatti che portarono a quella tragica mattinata, raccontando lo spirito radicale del tempo e seguendo i preparativi dell’assemblea pacifica che si sarebbe dovuta tenere quella mattina, ma che fu interrotta dall’intervento delle forze dell’ordine. Peterloo è un vero e proprio film di ricostruzione storica, non solo perché recupera gli stilemi classici del cinema britannico d’impegno politico, ma soprattutto per le sue ambizioni esplicitamente didattiche, pedagogiche, umaniste. Richiamandosi alla migliore delle tradizioni degli sceneggiati storici BBC, Leigh costruisce un film parlato, utilizzando lunghissimi dialoghi e discussioni animate per introdurre e accompagnare lo spettatore verso le catartiche e coinvolgenti scene di massa dei minuti finali. In questo modo, nel momento in cui il regista ci conduce tra la folla, noi spettatori abbiamo già preso parte alle assemblee condotte dai personaggi per preparare la manifestazione, possiamo comprendere le ragioni dei manifestanti, patteggiare inevitabilmente per loro. Leigh non ci porta soltanto dentro le polverose riunioni delle prime società sindacali, sia maschili che femminili, ma ci introduce anche ai meccanismi decisionali messi in atto dal potere, dalla magistratura nello specifico, per reprimere i movimenti riformisti. Le infiltrazioni della polizia nell’universo popolare, l’organizzazione degli arresti preventivi ai danni di alcuni animatori e oratori considerati più radicali, sono solo alcuni degli elementi che il regista britannico decide di svelare dal sommerso della storia, finalmente resi trasparenti e accessibili.
Peterloo è un film contro l’indifferenza del presente, un cinema che esorta alla produzione di pensiero e all’agire politico in un’epoca di diffidenze, speculazioni, populismi. Leigh si getta nell’impresa di creare un film “politico” pur decidendo volutamente di non approfondire mai i personaggi che racconta, restando sulla soglia della storia e limitandosi a incorniciare gli eventi come fossero materiale di repertorio. Un repertorio di immagini mancanti e ricostruite, arricchite dalla pervasività anacronistica di spazi quali fabbriche, campagne, piazze, assemblee, riempite e svuotate da operai, contadini, oratori, un esercito di fantasmi inquadrati, scolasticamente, in campi medi o piani americani. Nell’ultima parte, Leigh decide di cambiare registro, portandoci direttamente dentro il massacro. Riprendendo le cariche della cavalleria in sfocati dettagli dal basso verso l’alto, ci rende ancora più osservatori partecipanti, riducendoci minuscoli e impotenti di fronte a un potere storico che non sembra ancora rovesciabile. Attraverso una secca messa in scena del passato e dei suoi abitanti, Peterloo ci ricorda soprattutto un tempo presente in cui la necessità di prendere posizione “fisicamente” si è fatta, ormai, urgente.
Articolo in collaborazione con la rivista scientifica Cinema e Storia