Mr. Robot / Finale di stagione
Tra voce-over e stringhe di dati, nei deliri di un hacker che per cambiare il mondo scinde se stesso
Il blitz che ha sottratto alla piattaforma di corna più famosa al mondo una valanga di nomi e cognomi, provocando dimissioni, disperazione e suicidi, è avvenuto mentre Mr. Robot guadagnava consensi ovunque. Un attacco dal fortissimo impatto mediatico, che potrebbe rivelarsi una tremenda strategia pubblicitaria per chi, ad esempio, adesso promette agli utenti fedifraghi sicurezza assoluta per 20 dollari. Chissà. Certo è che l’attacco è un gigantesco spot per la serie di Sam Esmail (Elliot si imbatteva in Ashley Madison già nel primo episodio), che si è avvalso della preziosissima consulenza di Michael Bazzell. Uno che ha iniziato costruendo il primo pc al liceo, poi è diventato hacker, quindi ha lavorato con la polizia investigando anche sui cyberpedofili, ed è finalmente approdato a Hollywood. Se tutti gli attacchi e gli aspetti tecnologici sono plausibili e realistici non solo ai nostri occhi ignoranti, ma anche alla comunità di hacker, il merito è tutto suo. Quasi tutto: Esmail è talmente ossessionato dalla necessaria accuratezza dei riferimenti, che ha dovuto e voluto piegare lo script della serie in diversi punti per non intaccare tale assoluta credibilità. Il risultato è che quando leggiamo la notizia che gli investigatori sono riusciti a localizzare il segnale di attacco a ashleymadison.com nei Paesi Bassi, ma non hanno potuto fare di più perché il pc è stato spento, subito pensiamo ad Elliot che stacca i cavi e distrugge dischetti nel microonde. Ed è sempre Elliot che nella prima puntata stana pedofili e infedeli. E allora il cortocircuito realtà/finzione diventa un vortice, Ashley Madison viene inserito nei dialoghi della serie in tempo reale. Ed ecco che noi iniziamo a sentire le voci. E a parlare ad amici immaginari. Con il voice-over, naturalmente.
Chi più, chi meno, abbiamo tutti qualche problema con il voice-over. Mr. Robot apparentemente ne è saturo, dal principio ci è toccato ascoltare la voce calda e narcotizzata del protagonista (ma l’interpretazione di Rami Malek è magistrale, talmente ipnotica da rapire i nostri sensi e lasciarci subito smarriti). Ed invece il primo punto messo a segno dai creatori della serie riguarda proprio quello che sembra voice-over, sembra rivolgersi al pubblico, sembra raccontare la sacrosanta verità, come ogni voice-over che si rispetti. Falso, fake. La voce che ascoltiamo non sta parlando, tanto meno a noi, ma si rivolge ad un frammento della sua stessa psiche, e non è affatto detto che dica la verità. L’apparente voice-over, e la voce reale di Elliot quando si rivolge agli umani, coincidono molto di rado, nonostante il ragazzo menta in entrambe le situazioni. Coincide quasi esclusivamente quando recita il tormentone “i want to change the world, i want to save the world”. La bugia più grossa, quella più sincera.
Nella testa di Esmail Mr. Robot nasce come lungometraggio, ed infatti il finale (anche la fine non è la fine, aspettate di veder scorrere i titoli di coda) di stagione sembra più un inizio di secondo tempo, con un twist che spalanca le porte della seconda attesissima stagione. Nella testa di Elliot convivono diverse personalità, e se il suo disturbo dissociativo (Tyler Durden ha fatto scuola) è una patologia diffusa negli Stati Uniti più che nel resto del mondo, allora è inevitabile che Mr. Robot vada in onda in un network che si chiama USA. Un network che non aveva mai osato più di tanto, e che invece si affida a Esmail con sorprendente fiducia, confermando la seconda stagione prima della messa in onda del pilot, e definendo la serie “una boccata d’aria fresca”. Curioso, visto il livello di claustrofobia (e paranoia) che la caratterizza.
Le dieci puntate hanno progressivamente rivelato il caos (rimbalzando tra citazioni ed omaggi a Kubrick, ovviamente a Fincher ed anche ad Under The Skin di Jonathan Glazer, con uno stile che rimanda anche a Soderbergh), col risultato di moltiplicarlo e di incasinare la testa di Elliot e la nostra ancora di più. Le studiatissime riprese hanno messo spesso in un angolo i personaggi, spingendoli verso l’oltre, suggerendo allo spettatore che c’è molto di più di quello che si vede in primo piano. Memorabile la splendida scena (terzo episodio) nella quale Tyrell prova il suo discorso allo specchio: un capolavoro di ansia, spersonalizzazione e masochismo in un gioco di specchi mozzafiato: tra l’altro recitato dallo sconosciuto attore svedese Martin Wallström, uno sguardo da potenziale psicopatico perfetto. Il core business non è l’attacco alla Evil Corp. E sapere cosa diavolo significhi rootkit, honeypot o .dat file non ha la minima importanza. Noi soffriamo di vertigine affacciati ad un balcone, se dal balcone crediamo di scorgere la cospirazione. Evil Corp. White Rose. F Society. Evil Rose. F Corp. White Society. EvilWhite CorpSociety F rose. Ma è tutto sfuocato. Ho bisogno di sdraiarmi e chiudere gli occhi. O l’ho già fatto?