Palazzo della Ragione Fotografia / Herb Ritts. In Equilibrio
Anatomia della grazia. Milano ospita la prima grande retrospettiva italiana del fotografo statunitense
Negli anni Trenta il fotografo tedesco August Sander volle tramandare con migliaia di ritratti il «volto del tempo». Fra settant’anni saranno i suoi ritratti a restituire il volto del nostro?
«Posso solo sperare che anche fra molto tempo chi guarda le mie immagini riesca a emozionarsi. In fondo, che tu fotografi persone famose o no, stai sempre cercando l’anima dell’uomo. Sì, sarebbe bello che le mie foto evocassero un giorno le stesse emozioni che quelle di Sander evocano in me».
(dall’intervista del 2001 a Herb Ritts di Michele Smargiassi per Il Venerdì di Repubblica)
Michele Smargiassi ha definito Herb Ritts un fotografo necessario. Come può essere un fotografo glamour, di moda, necessario? Provo, nel mio piccolo, a dare una risposta.
Qualcuno, un paio di anni fa, mi disse che Milano, a maggio, diventava una sbornia di immagini. Parlava del MIA Photo Fair, e devo dire che ci prese abbastanza.
Stesso mese, altro anno, tutto tranne che una “sbornia”: un equilibrio perfetto ed eterno, fatto di carne e luce, di quell’aria che solo le grandi fotografie riescono a farci respirare. Forse, addirittura, L’Equilibrio. Un miracolo fragile, quello creato da Herb Ritts, nel suo continuo oscillare tra spontaneità e studio, tra eleganza rarefatta e glamour Eighties.
Difficile non riconoscere a colpo d’occhio, tra le oltre 100 immagini originali esposte a Palazzo della Ragione (dalla sua morte non sono state più date alle stampe nuove edizioni delle sue fotografie), tutte provenienti dall’Herb Ritts Foundation di Los Angeles, i ritratti hollywoodiani che hanno consacrato la sua e mille altre carriere. Eppure questi ritratti non si fanno schiacciare dal loro essere, almeno in teoria, patinati. Lo sguardo di Ritts è sempre irriverente, sfrontato, ma sempre complice; le celebrità davanti alla macchina fotografica non sembrano mai in posa forzata, interpretano la propria pelle senza essere sopraffate dagli artifici scelti per la foto: Djimon Hounsou resta se stesso, anche con un polpo in testa.
Madonna ricorda come, appena arrivata sul set, Ritts le mise un paio di mutande in testa. Inutile dire che le parve un cretino, come è inutile dire che bastarono pochi scatti a farla ricredere. Leggera, fuori da sé, in uno stato di paradossale inconsapevolezza dell’essere guardata, non pensò mai ad immaginarsi. Anche questa una piccola sbornia, in effetti. Ed è proprio questo, per me, il capolavoro di Ritts: l’aria che seppe tenacemente lasciare ai suoi soggetti, lasciandoli sempre vivi, mai vittime anche nella più statica delle pose. «Per me, un ritratto è qualcosa attraverso il quale percepisci le persone, le loro qualità interiori, ciò che le fa essere ciò che realmente sono».
Il percorso espositivo procede attorno alle tematiche principali del suo universo creativo: il ritratto, ovviamente, ma anche il lavoro sul corpo in movimento. Uomo di grande cultura e appassionato d’arte, Ritts studiò per i suoi scatti le composizioni classiche e la plasticità della statuaria rinascimentale, fino a concepire nudi sì espliciti, ma mai volgari. Nudi quasi da Canone di Policleto, anatomicamente perfetti, eppure delicati, nella loro straordinaria forza. Non c’è nulla di voyeuristico in questi scatti, nulla di pornografico, c’è la macchina umana e al tempo stesso c’è l’umanità: il nudo è un pretesto per catturare un’emozione. Ancora una volta, tutto questo è reso possibile dall’equilibrio: la morbida luce naturale e la perlescenza del sudore, la muscolarità leggera dei corpi, un erotismo fatto di nervi tesi e abbandono.
E i paesaggi e le suggestioni dell’Africa, terra che ha sempre esercitato un grande fascino su Ritts, al punto che vi intraprese numerosi viaggi, anche a pochi giorni dalla sua morte. Forse mi sarebbe piaciuto vedere qualcosa in più, di questo sguardo da reportage: ma anche dalle poche fotografie africane esposte sono evidenti il suo straordinario occhio per le immagini destinate a diventare icone e l’innata capacità di rendere naturalmente memorabile chi entrava nella sua inquadratura.
A chiudere idealmente la mostra, tre installazioni video, le prime due dedicate ai provini, per dare appieno l’idea del metodo di scelta degli scatti adottato dal fotografo, la terza al suo lavoro come regista di video: un medley dei suoi video più celebri, uno su tutti Wicked Game di Chris Isaak. Aperto anche ai lavori più commerciali, senza scendere mai a compromessi, Ritts fu, come sanno essere solo i veri geni, straordinariamente ricettivo nei confronti degli aggiornamenti in fatto di materia fotografica. A proposito del digitale ebbe a dire, sempre nell’intervista del 2001: «Trovo stimolanti le possibilità offerte dall’elaborazione digitale. Credo che la gente vada in cerca di immagini che comunicano sentimenti: e le foto digitali sono spesso più forti e reali di quelle tradizionali».
Ritrarre la bellezza dell’umanità, rimescolare i generi, passando «dal fascino dell’eleganza agli aspetti più crudi della vita». Penso al ritratto di Elizabeth Taylor, scattato poco dopo l’operazione al cervello. Il profilo da ritratto rinascimentale, la cicatrice ben in vista, sulla testa quasi rasata. La grazia e la forza, raccontate insieme. Per me, è esattamente questo a rendere Ritts così necessario.