Pem è la storia di un’amicizia molto singolare. E’ un’amicizia silenziosa e speciale che solo nell’immaginazione vivida e fantasiosa di un bambino può prendere forma in maniera tanto spontanea e trascinante. Luca ha sette anni, e quando viene a sapere che il grande albero davanti casa sua è “malato” e deve essere abbattuto viene preso da un dispiacere e da una disperazione quasi inconsolabili, e fa del tutto per “curarlo” come meglio può. Perché quell’albero, con i suoi rami frondosi e fitti che scendono come tante braccia verso di lui, è forse il suo migliore amico. Solido, possente, imperturbabile, se ne sta in cima alla collina, mentre il bambino gioca sotto la sua ombra immaginando di vedere, nelle sue forme bizzarre, un enorme mostro da affrontare con la spada sguainata.
Forte di una buona intuizione a livello di soggetto e sceneggiatura – scritta dal regista Alfonso Pontillo insieme a Admir Senko, premiata al festival internazionale del cortometraggio “La Cittadella Corto” – Pem è una piccola meditazione, sognante e a tratti malinconica, sul mondo dell’infanzia. L’immaginazione potente e la fantasia senza limiti dei bambini sono tutti qui, nella figura del protagonista che soffre insieme al suo albero “ferito”, che per lui non è un oggetto inerte ma qualcosa di vivo e pulsante.
Il regista Alfonso Pontillo – già premiato in Italia e negli Stati Uniti per i suoi cortometraggi e da alcuni anni aiuto regia di Ugo Gregoretti – ha presentato da pochi giorni Pem al Giffoni Film Festival. Ottima vetrina internazionale dedicata al cinema per ragazzi, il Giffoni nasce all’inizio degli anni settanta e annovera tra i sui ospiti più illustri il regista François Truffuat; Nicholas Cage, Jean Reno e Patti Smith (ricordiamo che il festival ha anche una sezione dedicata alla musica) sono stati invece presenti tra gli ospiti di quest’ultima edizione.
Di seguito intervistiamo il regista Alfonso Pontillo e lo sceneggiatore Admir Senko.
Come nasce l’idea del film?
Admir: Confesso che una situazione simile l’ho vissuta personalmente e forse ho sempre voluto raccontarla. Siamo partiti così da alcune piccole idee che avevamo sul nostro vissuto in campagna e su alcuni dettagli che sono rimasti impressi nella nostra memoria. Pian piano è uscita fuori una storia di fantasia e sogno. Sono quelle storie che ognuno di noi conserva intimamente dentro di sé.
Alfonso: L’idea parte da una riflessione sul mondo dei più piccoli; un periodo nel quale siamo passati tutti. Abbiamo cercato di scavare per ritrovare sensazioni e stati d’animo di quella bellissima, ma anche tragica, fase della vita di tutti noi. Siamo quindi approdati a quella che viene definita la fase “ANIMISTA” che il bambino vive a una certa età. Durante questa fase si tende a dare un’anima a tutto; oggetti, pietre, strofinacci prendono immediatamente vita ed acquistano un valore simbolico e affettivo. Da qui nasce PEM, storia di amicizia tra Luca, un bambino di sette anni, e un albero con il quale il piccolo passa la maggior parte del tempo.
Avete già collaborato insieme ad altri progetti?
Alfonso/Admir: Si, abbiamo scritto diversi soggetti e sceneggiature insieme. Abbiamo un’idea di cinema molto simile e ci intendiamo molto anche sulla scrittura. Questo però è il nostro primo lavoro portato a termine che ha ricevuto il riconoscimento del primo premio come miglior sceneggiatura al festival “La Cittadella del corto” (Corto Lazio). Con il denaro ricevuto in premio abbiamo girato PEM. E’ stata una bella soddisfazione.
PEM è un cortometraggio pensato (sebbene forse non in maniera esclusiva) per un pubblico di ragazzi. In che modo questo ha influenzato il vostro approccio alla sceneggiatura?
Admir: Quando ho iniziato a scrivere ho cercato tra i miei ricordi di infanzia, come ero, le cose che facevo…ma in realtà non ho voluto raccontare solo una storia per bambini. Ciò che mi interessava raccontare era un avvenimento che in un certo senso spezza un po’ la gioia dell’infanzia, ma allo stesso tempo ne riconferma la forza e l’immaginazione.
Alfonso: Abbiamo cercato di abbracciare un pubblico molto più ampio, non esclusivamente quello dei ragazzi. La storia di Luca per certi versi è nostalgica, rievoca un periodo che ognuno di noi può aver vissuto. Quindi forse in alcuni tratti si adatta di più ad un pubblico di adulti.
Alfonso, hai in preparazione un documentario sulla figura di Ugo Gregoretti, con il quale lavori da alcuni anni come aiuto regista. Cosa puoi dirci del film a cui stai lavorando?
Alfonso: Ormai sono sei anni che sono l’aiuto di Ugo e lavorare con lui è di certo un’esperienza incredibile e formativa, ogni giorno di più. Mi ha dato la possibilità di affiancarlo in molti lavori dove ho potuto imparare tantissimo. Di certo posso considerarlo il mio Maestro. E proprio come tutti i “discepoli”, anche a me è venuta l’idea di “omaggiare” il mio mentore con un lavoro interamente dedicato a lui. Per quanto riguarda il documentario, ho iniziato da un anno e mezzo e, ancora oggi, ci sto lavorando; è un processo lungo. Non è facile sintetizzare un profilo come quello di Gregoretti che non si è limitato solo al cinema; era un giornalista, ha fatto televisione, teatro, si è occupato di teatro lirico, ecc. La grande quantità di materiale e la sfida anche “narrativa” (docu-fiction) che ci stiamo ponendo rendono il progetto sempre più stimolante e affascinante.