Iniziamo qui una mappatura, esplorazione, conferma, degli spazi romani dedicati all’arte contemporanea tramite la viva voce degli stessi fondatori, curatori. Si parte con >b>26cc e Silvia Giambrone.
26cc è uno spazio indipendente per l’arte contemporanea nato nel 2007 dalla collaborazione di giovani artisti e curatori con l’intenzione di presentare una chiave di lettura alternativa del panorama artistico contemporaneo nazionale ed internazionale. Situato nel caratteristico quartiere romano del Pigneto, lo spazio – ricavato in un ex-laboratorio di cornetti – ha organizzato nel corso degli anni diversi tipi di attività artistiche, dalle performance alle conferenze, dai workshop alle mostre, il tutto incorniciato nell’interesse di dar voce alle tendenze più attuali delle arti visive con uno scambio diretto anche con artisti e spazi indipendenti internazionali.
Abbiamo incontrato una delle curatrici dello spazio, Silvia Giambrone.
Prima di inoltrarci nelle aspettative e nei progetti di 26cc, raccontaci brevemente come è nata l’idea e l’esigenza di aprire uno spazio indipendente e la scelta, se lo è stata, di collocarvi all’interno di questo quartiere che, negli ultimi anni specialmente, sta subendo un’evoluzione in senso culturale divenendo da borgata uno dei luoghi prediletti per la diffusione di cultura.
La spinta decisiva è stata la necessità di creare uno spazio che desse ai giovani artisti la possibilità di farsi conoscere, puntando sulla qualità del proprio lavoro piuttosto che su logiche di mercato o di clientelismo. Ci siamo quindi riuniti attorno alla figura di Cecilia Casorati, che è stata insegnante di molti di noi all’Accademia delle Belle Arti, e abbiamo deciso di creare 26cc. Siamo quattro artisti e tre curatori, ma questo non impedisce ai primi di sconfinare nei campi di competenza dei secondi, quindi di cercare di lavorare tutti insieme, di amalgamare i compiti al di là dei ruoli tipici, per sdoganare anche l’idea, tipicamente italiana, della figura dell’artista e quella del curatore come appartenenti a compartimenti stagni separati. L’idea, quindi, è proprio quella di dare poca rilevanza ai ruoli, sfruttando naturalmente le competenze specifiche di ognuno, per dare vita ad un gruppo in cui non si senta la necessità, come spesso accade in altre sedi, di rivendicare la curatela o l’ideazione di un progetto. Abbiamo sentito la necessità di andare oltre l’idea di proprietà o di autorialità.
Per quanto riguarda la locazione dello spazio possiamo dire che è stato il quartiere a scegliere noi. Quando abbiamo trovato questo locale abbiamo subito deciso che faceva al caso nostro. Abbiamo avuto bisogno di un lungo periodo di ristrutturazione, poiché la struttura era abbastanza malmessa. Era un cornettificio e l’abbiamo fatto diventare uno spazio per l’arte contemporanea.
26cc è uno spazio giovanissimo che, nonostante ciò, vanta già un curriculum abbastanza cospicuo e propone, oltre alle classiche mostre, anche iniziative originali – se confrontate con il panorama degli spazi artistici romani in cui l’esposizione dell’opera d’arte, o comunque del lavoro dell’artista, ha un’importanza rilevante. Cosa vi ha portati a distaccarvi dalla concezione ortodossa di spazio ospitante esposizioni d’arte?
La decisione è partita da alcune considerazioni di fatto, in primo luogo le mostre hanno bisogno, per essere realizzate, di un budget cospicuo, ed in secondo luogo dalla presa di coscienza che le esposizione in spazi minori – che a Roma sono moltissimi – sono poco frequentate e dunque non spingono verso quello che è il nostro obiettivo. Infatti, siamo partiti proprio dall’esigenza di trovare qualcosa di cui questa città avesse realmente bisogno e in particolare cerchiamo di proporre iniziative in cui ci sia la possibilità di dialogare, di avere un confronto diretto con l’artista. Ad esempio, il progetto de Lo Spazio Bianco, conclusosi poi con una collettiva, è stato molto partecipato, con nostra grande sorpresa, perché normalmente fare in modo che le persone si interessino quando non ci sono grandi nomi è abbastanza difficile. Agli artisti che vi hanno partecipato è stato chiesto di scegliere un tema per il proprio lavoro e poi di portare con sé un testimone che non avrebbe dovuto parlare del lavoro dell’artista ma della tematica dell’incontro. E’ stato molto interessante come esperimento proprio perché ogni appuntamento era diverso dall’altro e il pubblico partecipante ha apprezzato.
Siamo più interessati a proporre performance: il 17 maggio ne abbiamo una in programma di Marco dal Bosco, l’8 maggio abbiamo presentato l’iniziativa Videoprogetto Roma-Birmingham, frutto di un’interazione tra il nostro spazio e Grand Union, uno spazio indipendente nato recentemente a Birmingham con il quale troviamo moltissime affinità e intendiamo lavorare proprio su questo scambio interculturale per approfondire la conoscenza reciproca, e che si è concretizzato con la presentazione in contemporanea di una rassegna video di artisti inglesi ed italiani. Anche l’iniziativa Politiche del 2008 è stata occasione di incontro tra varie organizzazioni no-profit europee, nell’intento di iniziare a costruire un network fra le varie realtà indipendenti in città diverse come Berlino, Praga, Istanbul, per citarne alcune, per fare il punto della situazione riguardante gli spazi indipendenti e capire come si possa iniziare un percorso di condivisione di pratiche, di ricerche nel campo delle arti. I contenuti e le idee di questo workshop sono poi confluiti in uno spazio online consultabile (UnDo.net), che è una traccia e un documento delle attività svolte.
Nel panorama artistico indipendente italiano c’è l’interesse a muoversi in questa direzione di collaborazione e di condivisione di intenti e proposte?
Per il momento la collaborazione è orientata su Ada Network, una piattaforma costituita da associazioni no-profit italiane che hanno come base comune la volontà di cooperare proponendo idee ed azioni finalizzate a dare una scossa al mondo dell’arte contemporanea. Il fatto di non essere necessariamente legate a logiche di profitto le rende libere di muoversi su tematiche attuali che hanno a che fare con le particolarità del territorio e con la realtà in cui sono inserite, per proporre un’alternativa al dibattito sull’arte, in molti casi monopolizzato dalle logiche di mercato, e che porti poi al riconoscimento del valore del lavoro svolto da queste associazioni nel processo di produzione di cultura. Inoltre, questa piattaforma si propone di collaborare con enti pubblici e privati per la promozione e la diffusione delle tematiche dell’arte contemporanea.
In Italia c’è bisogno di questo tipo di spazi indipendenti, perché allo stato attuale delle cose sono gli unici in grado di dar voce agli artisti più giovani che sono poco considerati dal mondo delle Gallerie. Gli spazi indipendenti aprono un panorama espressivo di ampio respiro perché permettono agli artisti di non adeguarsi necessariamente ad un determinato sistema, li rendono molto più liberi di lavorare.
In altre città europee, ad esempio Berlino, i giovani artisti hanno molti più vantaggi, che vanno dalla possibilità di avere uno studio in cui lavorare, dato che il mercato immobiliare è abbastanza accessibile, alla possibilità di lavorare con spazi indipendenti che permettono di concentrarsi sui proprio interessi senza necessariamente adeguarsi a sistemi prestabiliti. E questo per un artista è di grande importanza perché permette di creare serenamente.
Parlando della possibilità che gli artisti hanno in altri paesi, una pratica consolidata in Europa ed oltreoceano è quella della residenza d’artista. In Italia, invece, è un fenomeno ancora sporadico e poco conosciuto, nonché privo del sostegno economico e finanziario di cui avrebbero bisogno. Tra i progetti di 26cc si prevede anche la creazione di una residenza d’artista?
Contiamo di riuscire ad ottenere dei finanziamenti dal Comune di Roma e contiamo sulla collaborazione del CIAC (Centro Internazionale per l’Arte Contemporanea) di Gennazzano. Vorremmo che lo spazio dell’attuale 26cc diventasse luogo di lavoro dell’artista, che lo utilizzasse come suo studio, come luogo di creazione, e dargli la possibilità di vivere in uno spazio ad esso adiacente. Ci piacerebbe che lavorasse sul territorio, al Pigneto, che è un quartiere vivo, ricco di spunti interessanti, in cui convivono tante realtà multietniche accanto a quella che si può ancora considerare la Roma di un tempo. Senza contare che è un quartiere giovane, in continua espansione e per questo ricco di stimoli. Inoltre sarebbe interessante sperimentare lo scambio di residenze per artisti con altre realtà indipendenti non solo italiane ma anche internazionali, così da garantire un continuo flusso di idee ed esperienze e soprattutto per costruire una rete di realtà con cui crescere.