Raw
La metamorfosi estrema della giovane Justine nell'eclatante horror-drama dell'esordiente Julia Ducournau.
La donna, il sesso, il corpo, la carne: argomenti cari alla regista e sceneggiatrice parigina Julia Ducournau, classe 1983, che con l’acclamato e chiacchieratissimo Raw (2016) firma il suo primo lungometraggio per il grande schermo, una co-produzione italo/franco/belga supportata dal TorinoFilmLab. Esordio che è, al tempo stesso, coerente conseguenza dei lavori precedenti della cineasta: la sua opera prima è un corto, Junior, targato 2011, che le è valso il Petit Rail D’Or al Festival di Cannes, la storia di un virus gastrico e di una metamorfosi corporea con al centro l’eccelsa Garance Marillier, protagonista di Raw e il cui personaggio porta, in ambedue le opere, il nome di Justine. Una continuità non casuale, se si pensa alla seconda fatica filmica ossia il tv-movie Mange (2012) – diretto a quattro mani con Virgile Bramly - che narra di una giovane avvocatessa con un passato da bulimica. Nelle mani della Ducournau il body-horror si fonde con quello che possiamo definire body-drama: Raw è narrazione complessa e convulsamente stratificata, che mischia il coming of age con la consapevolezza di un’altra metamorfosi tanto inesorabile quanto macabra e, in primis, assai dolorosa.
La sofferenza, infatti, è uno dei cardini del film, che traspare da ogni inquadratura, movenza o frase, patimento che diventa inquietudine continua in un’opera scomoda e non confortevole per lo spettatore. Rawè stato presentato in vari festival raccogliendo consensi ma anche reazioni estreme: è ormai noto che, nel corso della proiezione a Toronto, vi siano stati svenimenti e fughe dalla sala, episodi che la regista ha accolto con rammarico, una pubblicità tanto roboante quanto da lei poco gradita. Raw, infatti, è ben lungi dall’essere un intenzionale gore-fest: è pellicola che gioca sul disagio e sull’introspezione, sui concetti di autostima e di spinta al conformismo e, non ultimo, sull’accettazione di se stessi. La sedicenne Justine, vegetariana così come i genitori, vergine e studentessa prodigio, segue le orme famigliari nell’approdare al prestigioso ateneo di veterinaria Saint-Exupéry, il medesimo in cui studia anche la sorella maggiore (e “pecora nera”) Alexia (Ella Rumpf): un legame tanto intenso quanto distruttivo, morboso e privo d’equilibrio, in cui Alexia è carnefice/dominante e Justine vittima/dominata, almeno apparentemente. L’ambiente universitario mostratoci dal film è duro, le matricole sono sottoposte a ogni tipo di umiliazione dagli studenti senior, un nonnismo che non lascia scampo e che funge da causa scatenante: nel corso di un’iniziazione, la giovane è costretta a ingerire del fegato di coniglio, dunque mangia della carne per la prima volta in vita sua, con fatica e disgusto. Così ha inizio la sua trasformazione, la scoperta di un’inconfessabile pulsione cannibalica che coincide con l’apertura verso la sessualità, rappresentata dalla perdita della verginità col compagno di stanza Adrien (Rabat Nait Oufella): il ragazzo è gay e Justine ne è infatuata, stabilendo dunque un legame conflittuale e al tempo stesso simbiotico. I rapporti vissuti come simbiosi e auto-annullamento fanno parte del carattere della protagonista, ed è in questo che la presenza della sorella si fa sempre più prepotente e invasiva: Alexia è sia carnefice che complice, punto di riferimento e despota che pare fagocitare tutto ciò che appartiene alla sorella minore. In Raw, il “prossimo” è ostile, che siano gli altri studenti piuttosto che il professore che l’attacca duramente per la sua fama di studentessa prodigio; i legami di Justine sono sempre a due e sempre conflittuali e contorti. I genitori (interpretati da Laurent Lucas e Joana Preiss) sono presenze apparentemente pallide e volatili, prive di nomi propri, in realtà centrali nello svolgersi del narrato.
La Ducournau si dimostra straordinariamente talentuosa sia con la mdp che nella scrittura, donandoci un finale tanto sconvolgente quanto inaspettato, tranchant e sottilmente speranzoso al tempo stesso. La musica gioca un ruolo fondamentale, con il potente score di Jim Williams che si alterna a brani pop e rock; ma è l’eccezionale performance della giovane Marillier la punta di diamante in un’opera che si può definire pressoché perfetta: la regista lavora sul corpo dell’attrice in modo non esibizionistico, la sua sessualità parte in modo goffo per poi divenire divorante in senso letterale. La Ducournau ha dichiarato di aver utilizzato la postura della Marillier in modo progressivo e parallelo al narrato, rendendola sempre più selvaggia e animalesca.
Al di là di polemiche e facili scandali, Rawè gioiello di rara bellezza, film femminista e non femminile in modo ghettizzante, un grido di dolore che diviene completamente liberatorio: irrinunciabile.