State Funeral
Loznitsa si concentra sui funerali di Stalin come fossero l’ultimo, tardivo atto di un mondo già disintegrato dalla Seconda guerra mondiale.
Il 6 marzo 1953 si tengono a Mosca i funerali di Stalin. L’evento è imponente: più di un milione di russi scendono in piazza per rendere omaggio alla salma imbalsamata del leader sovietico, esposta al pubblico nella Sala delle colonne del Cremilino. Alla fine della giornata, il corpo viene sepolto accanto a quello di Lenin, nel mausoleo al centro della piazza Rossa. State Funeral di Sergei Loznitsa, presentato fuori concorso a Venezia 76, ricostruisce tramite filmati di archivio l’epicità e il coinvolgimento popolare di quella giornata. L’intento del film è riflettere sul culto della personalità di Stalin nella sua fase terminale. Appena tre anni dopo, infatti, inizierà il processo di destalinizzazione della società sovietica, che porterà a una revisione sostanziale dell’operato del leader comunista e al superamento di quella liturgia di massa che ne aveva accompagnato l’operato. Non a caso, Loznitsa si sofferma sui volti di centinaia di uomini e donne sconvolti dall’accaduto, utilizzando unicamente materiale d’archivio. L’autore, come nel precedente Process, decide di non sovrapporre alle immagini alcun testo informativo, né di utilizzare la voce fuori campo. Lascia spazio alle suggestioni generate dalle analogie tra i documenti audiovisivi, tratti soprattutto dal documentario Velikoe proshanie (1953), film collettivo di Grigoriy Aleksandrov e altri registi russi girato il giorno stesso del funerale, e dai filmati di propaganda provenienti dalla collezione del Russian State Documentary Film and Photo Archive di Krasnogorsk.
Per larghi tratti, State Funeral sembra quasi un film di finzione. Il lavoro di montaggio di Loznitsa agisce direttamente verso una risignificazione delle immagini, già girate negli anni cinquanta con chiari intenti propagandistici, nel presente. L’autore ucraino, alternando materiali a colori con filmati in bianco e nero, genera un nuovo racconto audiovisivo interamente fondato sul valore della testimonianza. Le inquadrature e i movimenti di macchina del passato, catturati da Loznitsa in tutto il loro senso cinematografico, vengono presi in prestito al fine di creare una nuova narrazione: quella di migliaia di uomini e donne, sinceramente sconvolti ed emotivamente provati, che partecipano a un grande spettacolo collettivo. Nel rinnovare, oggi, quella sensazione di condivisione di massa, il regista si tiene in disparte: non osserva con giudizio e compiacimento la sincerità di quella partecipazione, né si sofferma con distacco sul dispositivo illusorio di creazione del consenso. Ed è proprio sul senso dell’esperienza spettatoriale, come già in Austerlitz che Loznitsa costruisce il suo film: monta primi piani insieme a campi lunghi, inventa raccordi ideali tra immagini provenienti da regimi documentali e archivi diversi, lavora incisivamente su campi e controcampi, seguendo le fiumane di persone che si muovono, in massa, per la piazza Rossa. A queste immagini, Loznitsa ne aggiunge altre (bellissime) in bianco e nero, provenienti per lo più da contesti contadini, dove centinaia di russi si radunano per apprendere, tramite radio, la notizia della morte di Stalin.
Per qualche minuto, Loznitsa esce dall’armonia della sua opera “aperta”, da cui entrare e uscire in qualsiasi momento, e si concentra sui discorsi di commemorazione preparati dai membri del comitato centrale: Malenkov, Kruscev e gli altri posano in riga sulla piazza Rossa, leggendo parole solenni in ricordo del leader scomparso. Nel frattempo, come sappiamo, stanno preparando la successione del potere. Dopo questa escursione, si torna ancora sulle folle in movimento. La musica classica (Mozart, Schubert, Shostakovich), utilizzata nel corso di tutti i 135 minuti, contribuisce sia al senso di maestosità dello spettacolo, sia a sottolineare la gravità del momento, leggibile sui volti delle persone. Dei cartelli finali, con font rosso su sfondo nero, ci riportano su una superficie (forse non necessaria), ricordandoci i milioni di morti attribuibili al dittatore sovietico e il processo di destalinizzazione di lì a venire. Quasi fosse, quello a cui abbiamo assistito, l’ultimo, tardivo atto di un mondo già disintegrato dalla Seconda guerra mondiale.
Articolo scritto in collaborazione con Cinema e storia - Rivista di studi interdisciplinari.