Sherlock - L'abominevole sposa
Un meccanismo gotico in un lisergico teatro degli orrori
Dopo il record di ascolti nel Regno Unito, Sherlock e l’abominevole sposa arriva nelle sale italiane. La fortunata serie scritta da Moffat e Gatiss si presenta con una puntata natalizia che ben più si addice ad uno speciale di Halloween. In parte un reboot vittoriano in parte un pilot per la quarta stagione, The Abominable Bride, condensa al suo interno una serie di caratteristiche amate dai fan rielaborandole – con oculata sapienza – all’interno di un contesto storicamente e filologicamente corretto. Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) torna nella sua epoca di appartenenza, l’epoca di carrozze e di illuminazioni ad olio, di pipe e merletti, di castelli ed efferati omicidi, di suffragette e fantasmi. Chiaroscuri e mezzi toni, nebbia di una Londra affascinante, città/teatro ricca di storie di detection, fedele palcoscenico sul quale narrare le avventure scritte da Arthur Conan Doyle. Dalla prima sequenza capiamo che la storia, narrata nell’arco delle tre stagioni, si sta riscrivendo, o meglio, si sta riadattando al periodo storico di riferimento, Watson (Martin Freeman) come nella prima puntata della serie, rivive i momenti della tragica battaglia afgana, vissuta in un diverso periodo storico, scorrono così veloci i frammenti della seconda guerra anglo-afgana (1880), che lo farà tornare claudicante a Londra dopo essere stato ferito nella battaglia di Maiwand. Una volta introdotto il presupposto iniziale, il punto di partenza in immagini che ha dato avvio alla serie, una rapida elisione temporale condurrà i nostri protagonisti a vivere un presente che coincide con l’attualità contemporanea condotta nelle prime tre stagioni (ma in un’altra epoca, ovviamente), attraverso una finestra spaziotemporale – che si adatta allo sviluppo narrativo – ci accorgiamo che anche nel presente della puntata Moriarty è morto ed una misteriosa sposa ha iniziato ad uccidere dopo essersi suicidata.
Un meccanismo ad orologeria, che innesta le vicende in un teatro gotico, profondamente dark, una sposa che torna ad uccidere dall’oltretomba e che metterà seriamente in difficoltà la capacità deduttiva dell’investigatore, meno infallibile rispetto al passato, mente brillante ma imperfetta – sensibilizzata, psicotropa, lisergica - che necessita addirittura di studio per vincere il dubbio che lo cinge. E se la tecnologia verrà soppiantata da lettere anziché mail, da bigliettini anziché messaggi digitali, da ritagli di giornale anziché del world wide web, l’utilizzo che ne verrà fatto sarà lo stesso del ventunesimo secolo. La stessa identica malleabilità nell’uso dell’informazione, fluidità nella gestione delle fonti, sovrimpressione del dettaglio e della lettura – in una meravigliosa sequenza Sherlock disporrà di fonti cartacee scrollandole come se stesse utilizzando un tablet – sottolineano l’attenzione sulla riproposizione di un dichiarato universo narrativo senza escludere nulla, senza togliere quegli aspetti che i fan amano, ma riuscendo a riproporli in un’epoca dove internet non era neanche un lontanissimo miraggio. E’ la mente di Sherlock che funziona come un dispositivo del ventunesimo secolo nonostante la storia sia narrata alla fine del 1800, il suo metodo deduttivo non è nient’altro che un archetipo e vetusto meccanismo/esercizio analogico, pre computerizzato, ed è lo spettatore, tecnologicamente smaliziato, che non deve essere deluso dalla fruizione di un mezzo e di un meccanismo iperdigitale in un’epoca incongrua per l’uso di determinati mezzi espressivi. Digitalizzazione in acide colorazioni sature, in passaggi a schiaffo tra il teatro della camera e le ipotesi della detection, la storia scritta da Moffat – Gatiss unisce il teatro all’era contemporanea, in simbiosi, in sintesi promiscua, e se sono gli stessi meccanismi del teatro a spaventare lo spettatore, a confondere i protagonisti, nell’utilizzo di specchi e rifrazioni creatrici di fantasmagoriche presenze, l’eredità doyleiana continua ad essere mantenuta, non a caso i Rigoletti della puntata appaiono in un racconto breve intitolato The Adventure of the Musgrave Ritual, mentre la messa in scena si tinge di tonalità orrorifiche, della stessa materia gotica de Crimson Peak o The Woman in Black - solo per citare due esempi contemporanei. Ma è forse tutto un gioco, un ingarbugliato, preciso e puntuale fake? Sherlock – The Abominable Bride nulla aggiunge alla serie precedente ma nulla toglie, anzi, colora di gotico una raggiunta, e riconoscibile, espressività narrativa riadattandola ad un’epoca lontana, mantenendo inalterati gli aspetti più interessanti, riassumendo le caratteristiche più originali dell’intera serie in un’unica puntata, che sa di gioco cromatico e matematica sublime, un’operazione smaliziata ma funzionale, una parentesi lisergica, un mini-film adatto, vista la incredibile resa espressiva e formale, alla sala cinematografica.