The Migrating Image
Il documentario di Stefan Kruse analizza la produzione e la diffusione mediale intorno ai flussi migratori, restituendo un panorama in cui è in gioco il nostro rapporto con la realtà.
The Migrating Image, ovvero “l’immagine migrante”. Il documentario del danese Stefan Kruse, visto Fuori Concorso al MedFilm Festival 2018, osserva il fenomeno dei recenti movimenti migratori verso l’Europa dalla prospettiva di un altro tipo di flusso: quello riguardante le immagini che condizionano la nostra percezione del fenomeno. A partire dalle modalità con cui, attraverso i social network, anonimi trafficanti di esseri umani pubblicizzano i loro servizi, sfruttando le immagini di un benessere occidentale da cartolina e di sicuri mezzi di trasporto, The Migrating Image innesta la propria riflessione sul nomadismo delle immagini nella nostra società e sul loro dominio nella produzione del reale. «La produzione di immagini», dice la voice over all’inizio, «inizia prima dell’immigrazione». Ad essere cambiata – vertiginosamente – è la loro accessibilità, la facilità con cui oggi le immagini possono essere prodotte e diffuse, da chiunque e in quantità un tempo impensabili. La posta in gioco è il nostro ancoraggio alla realtà, messo in pericolo da un atteggiamento passivo nei confronti di uno scenario mediale su cui le maglie del controllo si fanno sempre più larghe.
A chi sono destinate le riprese dei soccorsi in mare effettuate dalla marina militare e con quali logiche vengono prodotte? A quali media stranieri potrebbero finire le immagini dell’arrivo dei migranti caricate da fotografi volontari su piattaforme come Shutterstock? E con quali fini? Kruse si interroga non solo sulle modalità di produzione ma anche sui percorsi che le immagini della migrazione possono seguire, e lo fa con la giusta prospettiva di chi non è interessato a fornire facili risposte quanto a sollevare quesiti. Perché se, come dice Montani, «Le immagini, oltre ad avere un senso e a esercitare un potere, vogliono anche qualcosa. Ci pongono delle richieste», allora sta a noi interrogarci per attivarne la funzione testimoniale.
Attraverso filmati e fotografie di varia natura, provenienza e destinazione, dalle riprese satellitari della Frontex – il sistema di controllo e gestione delle frontiere esterne dell’UE – ai video realizzati con il telefono da alcuni migranti lungo il viaggio in mare, The Migrating Image ci restituisce un panorama visuale sfaccettato, difficilmente ricomponibile ma che chiede di essere sottratto alla deriva anestetizzante, quando non del tutto dirottata verso la strumentalizzazione. In questa breve ma composita ricognizione, assume particolare rilevanza la prospettiva dall’alto, quella per esempio dei droni che filmano una fiumana di profughi in cammino attraverso il confine tra Slovenia e Ungheria. Prospettiva che restituisce implicitamente l’idea di una dominazione delle immagini sull’uomo, quando l’uomo non è più capace di interpretarle correttamente. A meno che, come fa acutamente il regista, non si anticipi lo sguardo di questo Grande Fratello dei cieli, che distanzia e riduce i profughi a massa minacciosa senza volto, con una ripresa amatoriale dall’interno del gruppo in marcia, opponendo così all’algido sguardo aereo l’umanità di una ripresa frontale che restituisce le persone inquadrate nella loro dignità.
Il documentario di Kruse affronta questioni di assoluta urgenza per il nostro presente e il nostro futuro civile, affacciandosi con onestà a un quadro estremamente stratificato, com’è quello della produzione e diffusione mediale sull’immigrazione. Proprio per questo, l’impressione generale è che The Migrating Image, con i suoi ventotto minuti di durata, avrebbe forse aderito più saldamente alla formula del lungometraggio, meritando un maggiore approfondimento. Resta comunque l’esempio di un documentario che sa verso quali prospettive rivolgere lo sguardo.