Summer Light
La Memoria delle vittime dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki nell'opera seconda di Jean-Gabriel Periot
Il regista francese Jean-Gabriel Periot, poco più che quarantenne, conferma di votare la propria carriera alla rielaboraione psicosociale della Memoria storica, un campo d’azione linguistico e intellettuale a dir poco delicato e putroppo abusato nell’essere vessillo di una Storia contemporanea che non vieta a se stessa di ricadere e dissimulare mediaticamente i propri tragici errori.
Esordiva nel 2015 con l’opera di montaggio Une jeunesse allemande, ricostruzione tra materiali d’archivio di natura disparata, della formazione e parabola di violenza della banda terrorista tedesca Rote Armee Fraktion: (re)visione di un’epoca, gli anni ’60 e ’70, primogenita del secondo conflitto mondiale. E dall’a-temporalità del post bellico per antonomasia riprende la sua opera seconda Summer Light, passata in concorso alla 53ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Abdicando questa volta al documentario di repertorio e sposando la drammaturgia di finzione, Periot continua ad addentrarsi nei meandri più dolorosi della storiografia ufficiale, mettendo in scena la parentesi umana e spirituale del giovane Akihiro, filmaker giapponese d’adozione parigina, che torna ad Hiroshima per girare una docu-intervista ai reduci del bombardamento nucleare. Akihiro scoprirà l’insostenibile leggerezza delle memorie sopra-viventi di contro alla commissione paludosamente retorica e superficiale che è chiamato a portare a termine: la reiterazione della testimonianza affidata alle trasmissioni Tv per l’occasionalità dell’anniversario di commemorazione del disastro. Un solo giorno di memoria obbligata, rituale dell’ipocrisia di coscienza istituzionale.
Come insegna la lezione intelletuale dello storico Todorov, recentemene scomparso, la Memoria è una istituzione, che piega agli scopi di regimi, di volta in volta imperanti, il raggio di selezione - conservazione - oblio dei moniti più rappresentativi, nell’aporia di bene e male: per porre fine al conflitto mondiale contro i sanguinari totalitarismi, la nazione a capo della coalizione democratica sfoggiò esemplarmente dinanzi ai nemici d’allora, e per quanti sarebbero venuti di lì a poco, la più potente arma di distruzione di massa. Per fortuna non è solo con questo sentenziare che l’eredità umanista del filosofo riflette sugli orrori del XX sec., piuttosto apre all’emersione di destini di singoli individui, che seppero illuminare queste tenebre col proprio esempio di resistenza.
Così Summer Light prende le mosse da un lungo prologo, la preparazione del set che ospiterà l’intervista dell’anziana signora, miracolosamente scampata da bambina all’apocalisse del 6 agosto 1945 e alle pestilenze che ne seguirono. Un’animo fotograficamente impressionato come cellulode, che restituisce la vista orrorifica della morte improvvisa ed estemporanea. Le sue parole monotone rievocheranno le immagini reperibili negli archivi e nel web, che programmaticamente Periot non adotta neppure per iconico inserto, affidandosi totalmente al sogno semplice di un singolo uomo. Turbato e ormai in crisi sul lavoro da farsi, Akihiro cede ad un momento d’evasione, un giorno per le strade di Hiroshima, metropoli di viali e grattacieli, ove campeggia il parco memoriale sorto proprio nel luogo preciso in cui le bombe si schiantarono al suolo.
Visione tragica della Storia e della riflessione umana, qui come nei campi di sterminio, è proprio l’impossibilità di pensare diacronicamente al passeggio pacifico che oggi anima quel panorama verdeggiante e all’istante di strazio disumano che l’avvolse nelle ceneri. L’ambizioso intento del film è infatti altro, è non cadere nella sterilità del silenzio imposto e insinuare al contrario il desiderio che certi composti echi di dolore e figure redente dal senso d’appartenenza e dai valori di tradizione possano convivere agli angoli delle strade, agli incroci degli scambi generazionali rinvigoriti dalla forza della sopravvivenza, anziché marchiati di vittimismo. Perchè è vero che “ i vinti sono liberati dall’illusione di confondersi col bene, mentre i vincitori sono pronti a ricominciare subito” (Romain Gary).