They Look Like People

Solitudine e paranoia in un anomalo horror indipendente che guarda al thriller psicologico senza disdegnare suggestioni fantascientifiche

Non sono molti i film che sanno fare del basso budget una virtù. They Look Like People, opera prima dello statunitense Perry Blackshear, non solo riesce a dissimulare questa mancanza di mezzi con tocco disinvolto e trovate originali, ma anche a renderla funzionale a una storia anomala, scarna e claustrofobica come quella che mette in scena.

Ha un indubbio e grezzo fascino quest’horror indipendente che strizza l’occhio all’immaginario sci-fi e si abbandona alle più oscure derive psicologiche, anche quando si ammanta di una innegabile imperfezione formale o si smarrisce tra digressioni e sbalzi di tensione leggermente fuori misura, sorretto com’è da un’atmosfera capace di dargli, nella sua austerità, tutta la dignità opprimente e perturbante di cui ha bisogno.

Il risultato è un’opera intimista e disorientante intrisa di ambiguità e paranoia che gioca sulla suspense e sui rapporti interpersonali scardinando regole e ribaltando attese e aspettative.

Nella cronaca dell’amicizia virile tra due compagni di infanzia, nel loro ritrovato rapporto e nella loro precaria e temporanea convivenza, Blackshear mette in scena l’incontro/scontro tra due differenti solitudini scandagliandone gli inconfessabili fantasmi e le più profonde paure.

É proprio la paura a prendere orribili forme nelle notti insonni del confuso Wyatt (MacLeod Andrews), tra misteriose telefonate, incubi a occhi aperti e avvisaglie della più terribile delle apocalissi. Perché è una guerra imminente quella a cui pare prepararsi – come vivesse in un aggiornato e corretto Essi vivono carpenteriano – Wyatt, accumulando armi nella cantina dell’ignaro amico, mentre, fuori, mostruosi esseri da secoli nascosti dietro innocue fattezze umane cominciano a rivelarsi, venendo allo scoperto.

Una follia (?) che non risparmia nemmeno l’apparentemente equilibrato Christian (Evan Dumouchel), finendo col divenire – tra manie di controllo, culto della persona e mantra motivazionali – lo spettacolare e catastrofico riflesso delle sue più ordinarie paure, fragilità e insicurezze.

Immagine rimossa.

Dentro la cornice di una New York fredda e desolata, dove i rapporti sono forzati, indifferenti e ridotti all’osso, l’amicizia tra Wyatt e Christian, abbozzata eppure sincera nei suoi siparietti di quotidiana umanità, risplende come un faro, un disastrato e fragile baluardo contro l’avanzata (figurativa o letterale, poco importa) delle tenebre.

They Look Like People, al di là dei suoi rimandi polanskiani e complottisti, intimisti e psicologici, non è altro, allora, che una riflessione in chiave paranoica e fantascientifica su alienazione e senso di solitudine ai giorni nostri, su insicurezza e menzogna nella società del benessere. Un bromance distorto e ossessivo, dove suggestioni, silenzi e sciami vocianti destabilizzano la visione rendendo sempre più labile quel confine sottile tra interno ed esterno, realtà e follia.

Autore: Mattia Caruso
Pubblicato il 23/06/2016

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