What We Do in the Shadows
Sono in mezzo a noi, come noi, in molti casi siamo noi. What We Do in the Shadows è la commedia rivelazione del 2015, uno sguardo differente sulle difficoltà di essere vampiri al giorno d’oggi.
Ci sono film rivoluzionari, film reazionari, e film sovversivi. Questi ultimi in particolare sono rilevanti, in quanto non inventano generi né ripropongono pedissequamente modelli, bensì utilizzano regole codificate per destrutturare le tematiche ed il linguaggio filmico che affrontano. Per intenderci , Frankenstein Junior è un film sovversivo – lo dice Stephen King in Danse macabre – prende tutto il repertorio gotico del Mostro e lo restituisce in forma di sberleffo. Per intenderci, L’Alba dei Morti Dementi è un film sovversivo, l’apocalisse zombie che da metafora del sociale diventa sostrato umoristico per raccontare la periferia londinese. Ora anche i vampiri hanno il loro bel film sovversivo: What We Do in The Shadows, presentato al Torino Film Festival 2014 e annunciato come la rivelazione comica di questo 2015. Viene dalla Nuova Zelanda, alla regia due esordienti, Jemaine Clement e Taika Waititi, che poi sono anche due degli attori protagonisti. L’idea di partenza è semplice, realizzare un allegro mockumentary su uno spaccato della (non) vita ordinaria di Vladislav, Valgo e Deaco, tre vampiri coinquilini in quel di Wellington. In casa con loro ci sarebbe anche Petyr, ultramillenario simil Nosferatu, ma è piuttosto schivo e preferisce starsene nell’umido della sua cantina. Elemento fondamentale è pertanto l’osservazione entomologica della specie, colta nei momenti essenziali del disbrigo della faccende domestiche, del procacciamento del cibo, dell’aggregazione sociale, del gioco. La vampiritudine è osservata come condizione peculiare che non determina effetti romantici né disturbanti ma alienanti, un modo differente di essere nerd o comunque di stare ai margini della società (“Freaks!”, “Homos!”, li chiamano per strada.) Aleggia, invero, una latente tendenza all’omosessualità nei modi e nel dandismo dei costumi, oltre che nella preferenza di prede di sesso maschile, ma i tre conservano memoria di amori romantici eterosessuali e alla bisogna sanno nutrirsi anche di giovani fanciulle, non prima di aver steso asciugamani e giornali su divano e pavimenti, di modo che poi sia più facile pulire. Tutto si svolge nel rispetto più ortodosso della tradizione vampiresca, per cui i tre si fanno belli a modo loro per uscire ma non sanno che aspetto hanno perché lo specchio non riflette, vogliono entrare in discoteca ma non possono se il buttafuori non li invita ad entrare, temono la luce diurna ed in più hanno capacità illusionistiche che erano proprie dei vampiri duri e puri nei B-movies degli anni 70 (Vampire Circus) ma che si erano perse nelle riletture umanizzanti degli ultimi anni. Essere vampiri è un sub-status di appartenenza che determina, ovviamente, la necessità di confrontarsi con altri gruppi: irresistibili gli incontri/scontri con i rivali licantropi, sbeffeggiati per la loro natura ferina (“Werevolves? No, SwearWolves !), ma è dal rapporto con gli umani che ovviamente deriva il meglio del film. L’equilibrio amicale è infatti rotto da una new entry, uno sfigato vampirizzato di fresco che provoca catastrofi vantando in ogni dove la sua vampiritudine (“Io sono l’attore principale di Twilight”, ripete ad ignari compagni di bevute) così come l’amicizia con un umano alienato (Stu, esperto di computer) compromette la partecipazione dei tre all’Empia Mascherata (il ballo annuale che riunisce l’elite degli zombi e dei vampiri), con conseguenze irrimediabili. il film scorre veloce e strampalato manco fosse un docureality di MTV, grazie anche all’uso di effetti speciali artigianali ma del tutto verosimili, fino all’epilogo dolce amaro, perché se è vero che la non morte condanna alla solitudine ed al dolore, è anche vero che l’amicizia è per sempre, con i Lycans ad esempio si può combattere oppure sbronzarsi insieme, e che l’amore vero, per l’umana amata decenni prima, può travalicare le cospicue differenze di età. Tutto divertente fresco e (non) vitale quindi, non fosse che What We Do in The Shadows è una riproposizione quasi filologica di Vampires di Vincent Lannoo, anche’esso passato al Torino Film Festival ma già nel 2011, anch’esso mockumentary semiserio sulle vicende di una famiglia di vampiri delle Fiandre, mai uscito in Italia. A voi cinefili il compito di riportarli alla luce, con molta, molta attenzione.