The Act
Il true crime di Nick Antosca per Hulu racconta un terrificante rapporto madre-figlia e la sindrome di Münchhausen per procura.
The Act di Nick Antosca e Michelle Dean è una nuova serie antologica Hulu, basata su un delitto del 2015 reso celebre proprio da un articolo firmato da Dean. Se approcciate anche il true crime senza voler conoscere nulla dei fatti narrati, prendete questa introduzione come un avviso di spoiler, perché è impossibile discutere di The Act senza fare riferimento a ciò che accade nello show.
È una vicenda terribile, quella di Dee Dee Blanchard e sua figlia Gypsy Rose. Al centro di The Act e dei fatti che l’ispirano c’è infatti un rapporto madre-figlia morbosissimo e fondato su una particolare forma di abuso, la sindrome di Münchhausen per procura (già drammatizzata in film come Il sesto senso e The 9th Life of Louis Drax, e in serie come The Bridge e Sharp Objects). È un argomento che solletica l’interesse di chi scrive horror e thriller perché sovverte il canone della cura materna, che in questi casi diventa strumento di tortura sui figli inermi.
Preceduto da un documentario del 2017 e da un film Lifetime uscito a gennaio, The Act si distingue da questi sottogeneri della non-fiction con uno stile che tende al gotico ed estetizza le immagini – già di per sé iconiche – delle vere Gypsy Rose e Dee Dee, qui interpretate da Joey King e Patricia Arquette. Partendo dal rosa della casa in cui abitavano le due donne, The Act costruisce la propria scala cromatica in contrasto con la tetraggine dei contenuti e la violenza di alcune scene. Il concept stesso si basa su questa intuizione: The Act è un gotico alla Che fine ha fatto Baby Jane?, in cui le aspirazioni della protagonista Gypsy Rose sono influenzate da stereotipi fiabeschi assimilati attraverso la visione continua di film Disney. Il rosa rappresenta l’oggetto del desiderio di Gypsy, cioè la sua trasformazione in donna, ma anche la barriera creata da Dee Dee, che la infantilizza con costumi da principessa e cartoni animati. Gypsy è una persona ormai adulta, resa eternamente bambina dalla madre che la costringe su una sedia a rotelle – e sì, sembra un film dell’orrore, ma è la vera storia della famiglia Blanchard.
The Act ruota interamente attorno a questo punto e alle sue implicazioni. I primi episodi illustrano la violenza medica a cui Dee Dee sottopone Gypsy, secondo una logica narrativa decisamente horror. Ma fin dall’inizio la storia si concentra sullo struggimento di Gypsy per affermare la propria femminilità; la Gypsy di The Act è come una principessa maledetta che può mostrare le sue vere sembianze solo in determinate situazioni. Ancora prima della metà della stagione assistiamo alla trasformazione fisica della ragazza, che grazie a parrucche e trucco assume segretamente l’aspetto di una giovane femme fatale. La parte finale della stagione diventa quindi più classicamente true crime, con la progettazione di un delitto già annunciato dalla prima scena del pilot, la sua esecuzione e le sue conseguenze.
Uno dei punti di forza di The Act risiede nella capacità di scandagliare temi spinosi legati al rapporto madre-figlia e all’espressione della sessualità di una ragazza cresciuta nell’abuso. Quest’ultimo elemento si rivela il più conturbante della stagione. Essendo vissuta in una bolla in cui esistevano solo lei e la madre, il sesso per Gypsy è misterioso e incomprensibile, ma si traduce soprattutto in un atto simbolico. Nel quarto episodio, lo show mostra Gypsy che si masturba mentre fa sexting con il fidanzato virtuale Nick, nell’unico momento di vero e proprio piacere erotico che il racconto conceda al personaggio. Nelle puntate successive, vediamo i due giovani accoppiarsi in quello che appare un gesto scollegato dal piacere di Gypsy, un rituale dell’amore che la protagonista sembra avere appreso proprio da quelle narrazioni zuccherose e caste di cui è stata imbottita per tutta la vita. Dopo di ciò un elemento centrale sarà proprio il fallimento dell’ideale amoroso di Gypsy, che cerca disperatamente di rendere realistiche le logiche stereotipate della coppia eterosessuale che ha appreso dalla tv.
In The Act, viene resa giustizia agli aspetti più intimi di una vicenda dolorosa. È facile attribuirlo non solo a Dean e Antosca, ma anche a una writer’s room variegata e all’inclusione di numerose registe, a conferma del fatto che la televisione spesso è un ambiente meno escludente rispetto ad altri. La figura di Antosca è sempre più vicina a replicare il percorso di Ryan Murphy: proveniente dal team di Hannibal, Antosca si è affermato con la sua serie art horror Channel Zero, per passare a un modello eccentrico di true crime con The Act. Osservandolo, è impossibile non pensare alle serie antologiche American Horror Story e American Crime Story di Murphy, anche se Antosca ha uno stile personale, capace di distinguersi.
In comune con American Horror Story, The Act ha la presenza di dive dai volti iconici. In alcune delle parti principali abbiamo Patricia Arquette e Chloë Sevigny, a cui si aggiungono per poche scene la caratterista Margo Martindale, Juliette Lewis e Rhea Seehorn di Better Call Saul. L’utilizzo di queste attrici è però una delle occasioni mancate dello show. Per quanto spaventosa, Arquette risulta monocorde nella sua interpretazione dell’orchessa Dee Dee, forse più per una piattezza nella scrittura del personaggio che per la sua intenzione interpretativa; Sevigny è efficace in un ruolo “white trash” a cui ormai è abituata, ma il suo personaggio apre la vicenda come se dovesse avere una centralità che poi non si riscontra, scompare lungo l’arco narrativo, per riaffiorare inutilmente soltanto alla fine; perfettamente in parte è invece la Lewis, mentre Martindale e Seehorn appaiono sprecate nella puntata che le vede in scena (la sesta), con dei flashback che non aggiungono molto alla narrazione pur fornendo il background della villain Dee Dee.
L’altro problema dello show è quello che affligge spesso le serie originali dei canali di streaming: la durata eccessiva degli episodi e delle stagioni. Le puntate di The Act hanno un formato variabile che si assesta intorno ai 53 minuti; la stagione comprende ben 8 episodi, anche se la storia raccontata sembra richiederne meno, magari di lunghezza inferiore. Ciò si traduce in un rallentamento nello svolgersi della storia, che rimane meritevole d’attenzione anche col suo ritmo dilatato anche se è inevitabile domandarsi quale sarebbe stato il suo impatto con un formato più succinto. The Act risulta comunque un esperimento in parte riuscito, che aggiunge un tassello alle nuove narrazioni true crime della contemporaneità televisiva.