The 33
Da un caso di cronaca, la storia di trentatre minatori rimasti intrappolati in una miniera nel deserto cileno di Atacama
Nell’estate del 2010 un gruppo di trentatre minatori – a causa di un crollo - rimane intrappolato a circa 700 metri di profondità nella miniera di San Josè, nel deserto cileno di Atacama. Le modalità di soccorso saranno tanto complesse che si dovranno attendere più di due mesi per liberarli: un tempo infinitamente lungo in cui gli uomini sopravvivranno grazie a viveri e medicinali che i soccorritori riusciranno a fornirgli. Nel mentre verrà messa a punto una speciale capsula che, calata in uno strettissimo tunnel, permetterà di portare fuori i minatori uno alla volta. Miracolosamente, tutti gli uomini riusciranno a tornare illesi alla superficie.
Questo il caso di cronaca che la regista messicana Patricia Riggen racconta nel suo film, basandosi anche sul libro Deep Down Dark dell’americano Hector Tobar, imperniato sulla medesima, angosciante vicenda. La Riggen ha a disposizione un cast in cui ad attori poco conosciuti si affiancano volti noti e nomi di richiamo: Antonio Banderas, Juliette Binoche e Cote de Pablo, cioè la Ziva della popolare serie televisiva NCIS. E ha, dalla sua, anche una sceneggiatura solida che sventa il pericolo della monotonia in un racconto che non permette svolte inaspettate e cambi di rotta. Quello che ne viene fuori è un prodotto verosimilmente in linea con le aspettative che si propone: ovvero lavorare una materia scottante, non priva di implicazioni politiche, smussandone gli angoli fino a plasmare un romanzo avvincente con annesso happy ending. Banderas è ovviamente a proprio agio nei panni del maschio alfa che si improvvisa leader dei minatori, mentre la Binoche si fa animatrice caparbia del gruppo di donne che, nell’attesa dei loro uomini, reclamano risposte, diritti e giustizia. A placare gli animi arriverà un giovane ministro che incarna la “faccia buona” del potere, e medierà in maniera onesta e coraggiosa tra la popolazione esasperata, i tecnici e gli ingegneri all’opera, e il governo conscio delle grandi risonanze politiche del dramma in atto.
Ci sono film che vanno apprezzati non tanto per il modo in cui raccontano, quanto per l’argomento che scelgono di affrontare, e The 33 è uno di quelli. Tuttavia ogni scelta estetica è anche una scelta di campo, ed è chiaro che la Riggen preferisce “addomesticare” la sua materia per renderla appetibile ai più, secondo canoni tradizionali che rifiutano ogni trasgressione, e che respingono, in ultimo, l’irrompere della casualità e della freschezza del reale sullo schermo, dove si vuole invece che tutto resti ponderato, calcolato, “messo in scena”. Ma è un peccato, e ci si accorge di questo soprattutto quando si confrontano le vere facce dei minatori (che appaiono nel finale del film) con quelle dei protagonisti: lo scarto tra cinema e realtà appare incolmabile. A discapito di un film, che – soprattutto in considerazione della tematica scelta – sarebbe stato ben più incisivo e graffiante se non avesse rifiutato a priori i modi espressivi, e le istanze etiche, del cinéma vérité.
Se dunque si vuole analizzare The 33 da un punto di vista tutto interno, per quello che concerne il ritmo o l’orchestrazione della vicenda, lo si può reputare un prodotto ben fatto; ma se si solleva lo sguardo per inquadrarlo in un discorso più ampio, non è possibile non rintracciarne i limiti, per quanto sia ben evidente che tutto questo è di fatto l’esito di una scelta consapevole, di un’impostazione di lavoro che non privilegia la ricerca espressiva ma scientemente ricerca risultati in altri ambiti.