'77 No Commercial Use
Louis Fuglio Baglivi, montatore di Fuoriorario, innesca una macchina del tempo che è specchio impetuoso dell'Italia nel 1977
Ci piace immaginare Louis Fulvio Baglivi (montatore di Fuoriorario ed esperto della Cineteca Nazionale) come un detective che puntella sulla parete nomi, ritagli, foto e indirizzi del caso da risolvere. Tutto troppo denso, troppe variabili, la soluzione non arriva. Qualcosa, però, si intuisce: si cominciano ad individuare le costanti, i legami forti e quelli deboli, le cronologie ricorrenti. E allora, ancora una volta, si ripulisce la bacheca ma stavolta, invece di trovare nuove relazioni nel reticolo della mappa, tutti gli elementi si piazzano uno dietro l’altro, in un prima e un dopo non solo temporali ma anche di causa-effetto, fatto-notizia, assassino-vittima.
La scelta di raccontare il 1977 da gennaio a dicembre, seguendo l’ordine degli eventi politici – soprattutto, perché tutto fu politica in quell’anno cruciale – e sociali, di cronaca, cultura, spettacolo e di costume, solo sulla carta poteva sembrare la più facile e banale. In realtà, ’77 No Commercial Use è un documento preziosissimo che andrebbe proiettato nelle scuole superiori e nelle università per almeno tre aspetti formali su cui è bene soffermarsi, due dei quali apparentemente contraddittori e invece, a sorpresa, in perfetto equilibrio. Basterebbe questo a benedire un’opera che conta, ancor prima di un confezionamento di ottima fattura, una quantità di informazioni sterminata, una vera e propria macchina del tempo filtrata dai criteri che andiamo ad elencare.
Restando nel campo dell’analogico, tutt’altro che rudimentale, il documentario è allo stesso tempo multimediale e fedele ai materiali dell’epoca. Non c’è (quasi) sequenza, video, audio radiofonico, canzone, foto, pagina di giornale o copertina che non provenga da lì, da quel magma mediatico istituzionale e militante, riconosciuto e sotterraneo, che fremeva per produrre notizie e opinioni su un anno così nuovo e bipolare, seminale e italianissimo da una parte, punto d’arrivo dalla vocazione internazionale dall’altra. Si alternano contenuti forti a elementi di raccordo che non stonano nella loro necessaria prossimità. Il punto di vista adottato, infine, coincide con l’assenza di retorica. Ogni materiale presentato nasce dalle azioni (dimostrative, intellettuali e armate) dell’Autonomia Operaia, semplicemente detta “Autonomia”, composta delle mille frange in cui è divisa. Da un lato, quindi, le riviste, i volantini, i volumi teorici, i fumetti, dall’altro, passando dalle intenzioni alla pratica, il più delle volte violenta e ottusa, le reazioni della stampa ufficiale, dai servizi dei tg alle vignette satiriche. Il protagonista e la silenziosa voce narrante del lavoro di Baglivi sono quelli della Controcultura, il rifiuto della linea morbida del Partito Comunista, dei sindacati e dei compagni moderati. Non si tratta, come accennato, di alcuna celebrazione e in ogni caso, verrebbe da dire, non ci sarebbe il tempo necessario per enfatizzare i singoli frammenti. Emblematiche le inquadrature dei quotidiani e dei giornali extraparlamentari, che scorrono velocissime - confessiamo di averle fissate più a lungo sullo schermo mettendo in pausa – aventi più che altro il ruolo di fornire un quadro il più possibile esaustivo e totale degli eventi del ’77. D’altronde, simpatizzare esplicitamente con chi sosteneva la guerriglia (quasi tutti gli intervistati) avrebbe segnato un approccio storiografico eticamente discutibile.
Al di là degli aspetti formali, ’77 No Commercial Use è l’occasione per catapultarsi in un clima di gioia e rivoluzione, come cantava qualcuno, in cui la centralità della politica nel dibattito quotidiano raggiungeva livelli di parossismo oggi impensabili. Anche grazie al montaggio dell’autore - in concorso all’ultimo festival di Torino - che procede spesso per associazione di idee, sembra che persino le morti di Clouzot, Rossellini, Chaplin, Hawks ed Elvis siano avvenute in quell’anno per qualche motivo legato alla lotta di classe e ai movimenti culturali. Senza dubbio, le bombe, i morti ammazzati tra i giovanissimi, gli attentati eccellenti, lo sdoganamento dell’eroina con incredibile leggerezza, gli abusi di potere delle forze dell’ordine e in ogni caso l’atmosfera paranoica che avvolgeva lo Stato e gli studenti segnarono, nel nostro Paese e altrove, una perdita di innocenza tanto affascinate quanto tristemente indelebile.