Africa nera, marmo bianco

Pietro Savognan di Brazzà, nato in Italia a metà Ottocento e naturalizzato francese, fu tra gli esploratori più anomali e singolari dell’Africa Equatoriale. Viene infatti ricordato – non solo in Europa ma soprattutto in Africa – come un pacifista, insofferente ai metodi violenti e brutali che caratterizzavano l’imperialismo coloniale. Divenuto man mano un personaggio scomodo per la politica del suo governo, fu destituito dalla carica di Governatore del Congo e in seguito si trasferì ad Algeri. Quando però in Francia l’opinione pubblica iniziò ad avere il sentore di quali orrori venissero compiuti in Africa ai danni delle popolazioni indigene, a Brazzà fu affidato l’incarico di effettuare un’indagine sul campo dallo stesso governo, che agiva però solo nel tentativo di calmare le acque. In poco tempo, l’esploratore mise insieme un dossier in cui venivano documentate e denunciate tutte le atrocità commesse dai colonialisti (schiavitù, mutilazioni e sfruttamento di ogni genere) e quindi si imbarcò per la Francia, che però non raggiunse mai: morì infatti a Dakar, nel 1905, in circostanze non del tutto chiare. A oggi, non è ancora possibile consultare una versione completa del suo dossier.

Pochi anni fa, a un secolo dalla morte di Brazzà, il presidente del Congo Sassou Nguesso ha deciso di trasferire i resti dell’esploratore dal cimitero di Algeri, in cui era seppellito, nella capitale Brazzaville, che porta tutt’oggi il nome del suo fondatore. Per ospitare le spoglie di Brazzà è stata quindi ordinata la costruzione di un enorme mausoleo di marmo bianco. Idanna Pucci, discendente italiana di Brazzà, ha voluto però indagare su quello che appariva come un grandioso omaggio al suo antenato e che ai suoi occhi sembrava invece un insulto alla povertà in cui versa la città di Brazzaville, dove anche il liceo intitolato all’esploratore è abbandonato in condizioni pietose. Dietro questa iniziativa ha scoperto purtroppo tutta una serie di losche dinamiche di natura politica ed economica, a partire dal fatto che il mausoleo, realizzato con costosissimo marmo di Carrara, sarebbe stato edificato grazie ai fondi ottenuti dalle multinazionali del petrolio. A questa spinosa vicenda si sovrappongono le tensioni interne della nazione; Idanna Pucci infatti non ha agito solo nel rispetto della memoria e degli ideali del suo antenato ma anche nella speranza di aiutare l’attuale Makoko (re) del popolo dei Baketè ad ottenere la sua perduta legittimità.

Di tutte queste controverse vicende si racconta nel documentario Africa nera, marmo bianco in concorso al ViaEmilia@docfest. Il passato e il presente si intrecciano saldamente nell’insolito lungometraggio del regista fiorentino Clemente Bicocchi, che miscela immagini di repertorio, materiale girato in Congo, disegni, interviste e fantasiose animazioni di vario genere (burattini, teatro delle ombre, animazioni in bianco e nero). Il linguaggio ibrido che viene utilizzato si avvale a tratti di toni fiabeschi, quasi didattici, e tuttavia di fatto denuncia con precisione storture politiche, ipocrisie e corruzioni di un presente incerto e di un passato problematico niente affatto risolto. Non sono solo le devianze della società africana infatti ad essere messe sotto accusa, ma anche e soprattutto il rapporto tra Europa e Africa. Il mausoleo costruito in onore di Brazzà – peraltro senza il consenso dei suoi discendenti – diventa insomma emblematico in senso negativo di tutto un agire politico rovinoso e cinico, in cui gli interessi economici sono, come sempre, sovrani.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 22/08/2014

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