Festival di Venezia 2011, esterno/giorno. Nanni Moretti, in camicia a maniche corte ed occhiali da sole, confuso tra i comuni spettatori è in fila per assistere alla proiezione di una pellicola. Intercettato dai fratelli Mario e Fabio Garriba, gli viene chiesto come mai sia in coda per assistere a questa riesumazione del cinema sperimentale italiano. Moretti serafico risponde “operazione nostalgia”. Questa concisa esternazione calza bene per descrivere Anarchitaly – Cinema espanso e underground italiano 1960-1978 della giovane M. Deborah Farina, lavoro girato durante lo svolgimento del programma Orizzonti 1960-1978, che era una delle sezioni collaterali della 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. L’intento di Enrico Magrelli, Domenico Monetti e Luca Pallanch, curatori del suddetto spazio, era quello di compiere una ricognizione nel cinema di ricerca che sbocciò e si articolò in quasi vent’anni, a volte con esiti molto interessanti e felici. Furono opere di giovani personalità, provenienti da diversi campi artistici, che cercavano di esprimersi anche con la pellicola. La nascita e la facilitazione di queste sperimentazioni avvenne anche dalla creazione di attrezzature cinematografiche più leggere (Arriflex e Nagra) e la messa in commercio del famigerato e familiare formato Super 8.
Anarchitaly, alternando spezzoni delle opere in questione, interviste ai protagonisti, riprese ipso facto dalla mostra, è un buon sunto di quella sezione ed un valido passepartout per addentrarsi in quel periodo cine/artistico anarchico quasi dimenticato. Baricentro del documentario, come lo era stato anche della sezione Orizzonti, è Anna di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli. Anna è un documentario nato e cresciuto in modo disorganico che sin da subito si è trasformato però in manifesto. È la vetta massima dell’underground italiano e punto di non ritorno di quel modo di realizzare ed esprimersi in modo libero. Ad esempio, attraverso materiali d’epoca o con l’intervista a Pilar Castel, sorella del più noto Lou, scopriamo che il documentario è stato girato e montato in situazioni caotiche, o che Anna è più un’opera di Sarchielli che di Grifi. Ma in Anarchitaly possiamo vedere e saggiare anche scampoli di altre opere che erano state proiettate, come il folle e dal sapore montypythoniano Il Potere dell’altrettanto folle Augusto Tretti, che, come riferisce Ermanno Olmi, per realizzare le sue idee vendeva i terreni di sua proprietà, riuscendo a realizzare alla fine solamente quattro opere. Vediamo inoltre frammenti di alcune opere dei pittori Mario Schifano, Nato Frascà e del già citato Grottesi; dello sperimentatore Paolo Brunatto; dell’italianissimo fotoreporter Axel Rupp e degli altri Romano Scavolini, i fratelli Garriba, Ivo Illuminati e Paolo Breccia. Una menzione speciale, però, spetta a Mario Carbone, in un certo qual modo “padre artistico” degli autori sopracitati. Fotografo cosentino, giunse a Roma nel 1955. Si cimentò inizialmente con il documentario sociale dai riverberi neo-realisti, alternandolo poi con cortometraggi di fiction, oppure utilizzando la pellicola per immortalare le opere iconoclastiche del Gruppo di Via Brunetti. È proprio di quest’ultimo, capeggiato da Grottesi, che possiamo vedere i divertenti (e forse un po’ datati) happening. Il documentario usato, dal titolo onomatopeico, è Zoomtrack!, che mostra i citati artisti, mascherati da comunardi rivoluzionari, portare una ghigliottina in Piazza del Popolo, oppure lanciare enormi pillole Pincus (che rappresentano le pillole anti-concezionali) in direzione di San Pietro. Come sottolinea Marcello Grottesi sul palco della mostra, il loro intento era quello di portare l’arte ed i suoi reconditi significati fuori dai musei. Tra le altre interviste, oltre alle solite dichiarazioni spettinate di Enrico Ghezzi, è molto interessante quella di Maria Monti, elegante attrice teatrale raramente apparsa al cinema (per esempio è visibile in Giù la testa di Sergio Leone). La Monti ricorda soprattutto Carmelo Bene e la sua pazza e violenta genialità. Alcune schegge del cortometraggio Bis di Paolo Brunatto ci mostrano loro due, assieme alla loro compagnia teatrale, provare, in stile Living Thetre, nell’appartamento romano della stessa Monti.
Riepilogando, Deborah Farina, già co-regista insieme a Giuseppe Amodio del thriller Paranoyd – A Visual Sensorial Experience, con Anarchitaly quasi si diverte a ricreare uno pseudo documentario underground, riuscendo ad amalgamare e miscelare bene le diverse fonti e i disparati materiali, tra cui una colorata e adatta colonna sonora in cui spicca il perfetto innesto della hit dei Thin Lizzy: The Boys are Back in Town. Presentato alla 7ª edizione del Festival di Roma, Anarchitaly proseguirà le sue proiezioni itineranti in musei e cineclub.