Trastevere: due strade, due finestre, una storia d’amore, un regista in cerca di ispirazione e un cuoco che sarà il grillo parlante nella vicenda, meno celebrale di quello di Collodi, per scrivere il romanzo più moderno che si sia mai letto sui muri. Silvana è una signora di sessant’anni che riesce ancora a parlare d’amore, e soprattutto a crederci. Lo fa con la spontaneità di un’adolescente, come se il tempo, che passando corrode ogni cosa, non avesse scalfito parte di quell’ingenuità, quel candore che è tipico delle cose preservate, tenute bene. Ma il passato della protagonista non è quello candido di una signora ben educata dell’ottocento, bensì un passato tormentato dalla prostituzione e dalla droga. Silvana è un personaggio in continua fuga. Innamorata di Antonio, in modo compulsivo-ossessivo, vittima egli stessa della sua gelosia che soffocherà il loro amore. Due personaggi molto diversi: un grande lavoratore lui, ma pacato nel portamento grande, singolare ed eccentrica lei, affetta da una sindrome dell’eterna fanciullezza che la rende goffa ma dolcissima, in un abbigliamento non più adeguato. I due sicuramente diversi, ma certamente innamorati, stupiranno il pubblico in un lieto fine meritato. Perchè davanti la bellezza di un sentimento eterno l’universo si inchina.
“Ama e ridi se amor risponde, piangi forte se non ti sente..” Questo è De Andrè, ma potremmo citarne molti altri. Dopotutto chi non è mai stato innamorato. Ma se innamorarsi è dell’umano, solo del divino è andare oltre al muro del rifiuto, tentando la conquista di un sentimento non corrisposto, urlando per strada in mezzo alla gente il proprio dolore, rendendolo vivo. Perdita di dignità o coraggio estremo? Da Via del campo giriamo l’angolo, e da Genova a Roma raggiungiamo lo spazio della nostra storia. Siamo a Trastevere, e questo è stato un piccolo regalo per la Festa Internazionale del Film di Roma. Il docu-film, che ha spiccato fuori concorso fra le pellicole, presentato nella sezione Off Doc della kermesse capitolina, ha iniziato da subito ad avere un suo piccolo seguito nel circuito, accaparrandosi la candidatura a uno dei concorsi per il cinema documentario più importante d’Europa, il prossimo Festival di Rotterdam. Gli autori sono ben tre, tutti giovani registi: Vanni Gandolfo, Simone Aleandri e Luca Onorati. Quest’ultimo, classe 1978 ha all’attivo esprienze nel campo del cinema italiano, con nomi noti come il trio comico Aldo Giovanni e Giacomo e Davide Ferrario, per poi dedicarsi ai documentari.
Antonio + Silvana = 2 è stato addirittura consacrato da Gian Luigi Rondi comel‘Adele H dei nostri tempi. Certamente il paragone è importante, ma per i comuni mortali non è fondamentale conoscere o aver visto la pellicola di François Truffaut con Isabelle Adjan. La storia è talmente universale, trasversale e di valori semplici che rimane vicina a tutti, preservando la sua bellezza artistica. La mano esperta del regista, con il montaggio, conferisce ordine e coerenza ai frammenti di una storia, il cui canovaccio è scritto sui muri. Ebbene si, la storia non subisce alcuna forzatura, si scrive da sola, con una sensibilità propria, e nasce dalla penna infantile della nostra protagonista. La nostra Isabelle Adjan, la bionda e attempata Silvana, trascorre la sua vita da tre anni di fronte alla finestra del suo Antonio, nel tentativo invano di tornare insieme. Se esuli dalla realtà andiamo alla ricerca del sogno, ponendo lo sguardo altrove, Vanni Gandolfo ci regala la facciata romantica di una storia vera più assurda ed estrema di un’ardua fantasia. Nel cuore di Trastevere su due strade che si incontrano al centro di un ospizio si schiude un universo, con i suoi valori antichi e semplici. La realtà diventa una fiaba, e le persone, comuni, imperfette, avvizzite dal tempo, sono personaggi, il lui e la lei, di una storia che riesce a creare empatia ed immedesimazione. Una melodramma d’amore nato per caso. Spiato dalle finestre di casa del regista Vanni Gandolfo che si affacciano proprio sul vicolo in cui Silvana aspetta Antonio. Il regista è il primo lettore di questo romanzo a puntate, che si costruisce lentamente, di nomi e di date. Una storia catturata in divenire, che l’amicizia nata dopo tra Vanni e Silvana trasforma in un documentario, delicato e romantico.
Silvana è un personaggio unico: malandato, auto-ironico, sfacciato e inconsapevole. Tutto traspare dal costume, dagli abiti che indossa, inadatti per il suo fisico non più da ragazzina, facendo emergere uno stato di inadeguatezza. Anche il quartiere diventa un personaggio: il luogo dove nasce la storia è un angolo di Roma come ne sono rimasti pochi, silenzioso e appartato. Così come la casa di riposo dove vive Antonio un luogo fuori dal tempo, un palazzo del XVII secolo meraviglioso e malandato, di proprietà di una famiglia nobiliare. La telecamera è discreta e i personaggi sembrano dimenticarsene. Riprese a spalla si alternano a immagini del quartiere, con quella luce tipica dei vicoli romani. Il film è girato in presa diretta e segue la storia; ai registi è capitato addirittura di riprendere alcune immagini con il telefonino per non perdere il corso naturale della vicenda . L’audio è in presa diretta con una sessione di riprese sonore per poter ricreare l’atmosfera e gli ambienti dei vicoli della vecchia Roma. Il compositore argentino Sebastian Escofet, autore di numerose colonne sonore tra cui parti di diversi film di Alejandro Iñarritu (21 grammi, Babel e il recente Biutiful) regala al film una musica che rappresenta efficacemente l’essenza più intima di questa storia: quella mescolanza di dramma e ironia tipica del melodramma d’amore. Il titolo è tratto da una delle lettere che Silvana ha scritto ad Antonio con i frammenti di un giornale ritagliato a mano, come uno stalker, che però in questo caso di pericoloso ha solo un ombrello per la pioggia sotto il braccio.