Dopo aver girato alcuni documentari, il regista Stefano Lodovichi realizza nel 2013 Aquadro, lungometraggio di fiction che racconta con l’estetica sporca del digitale una storia d’amore ai tempi di internet e dell’ipertrofia della visione. I protagonisti sono due teen-ager, Alberto e Amanda, che pian piano vincono la loro timidezza e intrecciano una relazione. La ragazza non sa però che Alberto ha una sorta di dipendenza da cui neppure lei riuscirà a “guarirlo”: si abbandona con disinvoltura a rapporti erotici in webcam mentre nella realtà si trova ad essere bloccato e frustrato, e sente ossessivamente l’esigenza di filmare i momenti intimi con Amanda. Lei cerca di assecondare i bisogni di lui, e pian piano tra i due sembra cadere ogni barriera, mentre si fa strada un sentimento che appare sincero; quando però il video girato da Alberto durante la sua prima volta con Amanda finisce in rete, la ragazza si ritroverà ad essere vittima di una situazione imbarazzante e umiliante di cui potrà incolpare solo la pericolosa superficialità di Alberto e la propria ingenuità.
Lodovichi indaga e descrive l’adolescenza in relazione a un argomento specifico, che non è il sesso in sé per sé ma piuttosto l’intimità erotica rispetto alla dimensione liquida del web. A oggi l’interezza della nostra quotidianità – con tutto ciò che di personale e privato sta in essa – passa costantemente attraverso il web (in senso lato: computer, videofonini, etc.): i protagonisti del film, cresciuti in questo panorama, hanno tuttavia difficoltà a comprenderne appieno i rischi, e agiscono – come vuole l’adolescenza – in maniera istintiva e avventata. Quella di Alberto, in questo quadro, più che una perversione – del resto quasi innocente, se non fosse per la sconsideratezza con cui poi in un secondo momento il ragazzo si comporta – sembra essere un segno dei tempi.
Ad interpretare i personaggi principali troviamo due attori alle prime armi nel settore cinematografico (Maria Vittoria Barrella e Lorenzo Colombi) capaci di grande naturalezza e spontaneità; risultano invece forse un po’ rigidi i ruoli che la sceneggiatura – non esente da qualche stereotipo – ha costruito per loro; nel complesso tuttavia il film resta un riflessione credibile su una parte della nostra contemporaneità, di cui vengono messe bene a fuoco certe dinamiche. Efficace e verosimile appare la descrizione delle ossessioni private di Alberto: una descrizione non morbosa di qualcosa che invece forse ha in sé una componente di morbosità, di cui rimane però in fondo difficile attribuire la “colpa” al giovane protagonista. Alberto infatti non è mai animato da intenzioni negative nei confronti di Amanda; la sua “impasse” erotica si rivela a ben guardare la banale conseguenza di una tendenza alla timidezza e all’insicurezza, che lui riesce a vincere solo ponendo tra sé e l’oggetto del desiderio una barriera trasparente: questa barriera coincide con l’immagine digitale, con internet, con la webcam che al contempo distanzia e avvicina gli utenti, creando un surrogato di realtà che pretende di sostituirsi alla realtà stessa. L’errore di Alberto è in ultimo solo l’illusione di poter dominare tutto questo, ritrovandosi invece ad esserne dominato.