Vincitore come miglior documentario italiano all’ultimo Torino Film Festival, Bakroman approda nelle sale romane, il collaborazione con CinemaDoc e Persol, per permettere a chi non ha potuto prendere parte al festival all’ombra della Mole Antonelliana di visionare l’ultima fatica di Gianluca e Massimiliano De Serio. Complice il prestigio del Festival Torinese diretto da Gianni Amelio e gli ottimi risultati fin qui conseguiti dai De Serio, la proiezione risulta fra le più attese e seguite del circuito CinemaDoc della capitale (che ha visto al suo interno la presentazione di opere come Il sangue verde, This Is My Land… Hebron, El Sicario – Room 164, Left by the Ship, Ma che Storia…, Le radici e le ali e Il pezzo mancante). Sui De Serio, in particolare, pendono molte aspettative, ricordando gli ottimi esiti di loro precedenti opere come Maria Jesus, Mio fratello Yang o Zakaria.
Bakroman si dimostra un’opera di una fragilità e robustezza spiazzante. Il documentario investiga, ma in maniera lirica e volutamente disattenta, le quotidianità dei “bakroman” (ovvero i ragazzi di strada, in lingua moré) del Burkina Faso. Siamo a Ouagadougou, capitale dello Stato africano: un milione e trecentomila abitanti, cinque distretti e quattro lingue parlate e insegnate (il francese, lingua nazionale, e i dialetti Moré, Djula e Fulfulde). Gemellata con la città di Torino, con questa non presenta alcuna affinità: nonostante sia il cuore diplomatico e terziario dello Stato indipendente dal 1958, la disoccupazione è la vera piaga della città e della nazione tutta, e i bakroman sono la prova tangibile di tutto ciò. Vivendo per strada, alla perenne ricerca di cibo, i bambini e gli adulti senza tetto rappresentano una delle problematiche più spinose del Governo. Questa moltitudine di persone vive quotidianamente ai margini di una società già di per sé molto povera, e le giornate dei clochard di Ouagadougou si dividono nella ricerca di cibo, lavoro o droga per offuscare temporaneamente la tragicità delle loro esistenze. Dovendo spesso ricorrere alla prostituzione, ma essendo al contempo vittime forzate di violenze sessuali perpetrate dalla popolazione “civile”, alcuni di questi ragazzi hanno deciso di auto-organizzarsi, formando una sorta di sindacato dei senza tetto. Alcuni bakroman fra i più eruditi hanno deciso di creare una rete ad altezza uomo che funga da aggregatore umano, lavorativo, sindacale e psicologico, affinché i clochard possano mirare a condurre una vita più dignitosa, sia a livello lavorativo che umano.
Gianluca e Massimiliano De Serio immortalano con la loro macchina da presa a spalla questi incontri e le lunghe chiacchierate che i bakroman intrattengono con i loro possibili datori di lavoro; soffermandosi anche in contesti extra-lavorativi dove i senza tetto narrano le loro esistenze, corteggiano donne o parlano del sistema produttivo musicale del loro Stato, in un limbo instabile fra normalità e degrado, fra riscatto o repulsione sociale dagli effetti stranianti. Il documentario possiede delle caratteristiche estetiche del tutto singolari che, se accettate, fungono da chiave d’accesso al mondo narrato ma che fa anche la cifra poetica del documentario tutto. Infatti esso si compone di momenti investigativi come interviste o dialoghi spontanei rubati per strada, ma anche di sequenze diegetiche dal lirismo incantevole e incantato, dove lunghi dialoghi fuoricampo, narrazioni per immagini e squarci di paesaggi tanto stupendi quanto macabri fanno calare l’attenzione investigativa per accordare l’opera a registri di intensa poesia. La motivazione che ha spiegato la vittoria di Bakroman al Torino Film Festival recita: “per aver saputo unire la forza e la consapevolezza di un linguaggio cinematografico forte ad un’attenta sensibilità nei confronti dei personaggi”, che ben sintetizza questo doppio grado di azione e lettura del documentario, tanto attento alla verità quanto alla poesia umana che l’indagine covava in sé. Le aspettative sui De Serio, dunque, si sono dimostrate ben riposte, auspicando ora che il loro primo lavoro di finzione a cui si stanno per dedicare a breve – e che ha il titolo provvisorio di Sette opere di misericordia – mantenga invariata la qualità che gli autori hanno saputo ottenere in sede documentaristica.