Un casale semi-abbandonato immerso nella campagna, stanze buie e tetre; luogo fuori mano, inaccessibile alla civiltà, lontano dagli occhi: luogo ideale per nascondere il bottino di una rapina, quella stessa rapina che ti ha condotto a trascorrere cinque lunghi anni in un ospedale psichiatrico, denaro per cui saresti disposto ad ogni atrocità pur di avere facoltà di spenderlo. “Vampa” quel giorno c’era, quando i soldi furono sotterrati, ora è di nuovo lì per recuperarli, costretto tra le foglie del giardino ad osservare i nuovi, indesiderati, inquilini. Ma quel luogo tanto esemplare, tanto indovinato come nascondiglio, presta le sue nicchie malinconiche e sinistre anche alle torture più efferate, al più esasperato sadismo. Il lavoro inizia allora a prendere la sua forma, un concentrato (25 minuti la durata complessiva del corto) di furiosa violenza, un impeto di brutalità che rotola incontrollato fino al suo epilogo: volontariamente assurdo, fiabesco, come tutto quel che l’ha preceduto.
Antonio Zannone firma un corto piacevole nella sua assurdità: scene di cannibalismo esplicito vengono seguite da altre di tortura messa in mostra, ostentata dinanzi agli occhi dello spettatore che viene condotto consapevolmente al disgusto. Bastard Serial Killer! Kill! Kill! é un’ opera post-moderna, appartiene a quel genere di film che sanno guardarsi indietro e pescare a piene mani da ciò che gli ha preceduti; il regista e ideatore di questo lavoro attinge al b-movie accostandosi (per percorso intrapreso più che per meta raggiunta) al tarantinismo oramai più abusato. La nobile intenzione di fare cinema utilizzando il cinema deve però oggi confrontarsi con l’esagerazione che attanaglia l’elegante espediente del meta-cinema, sede prescelta del saccheggio registico e preda del commento universale: “già visto miriadi di volte”. Bastard Serial Killer! Kill! Kill! – anche nel titolo si cela una citazione, si pensi al cult di Russ Meyer Faster, Pussycat! Kill! Kill! – incornicia però le sue scene in un’atmosfera assolutamente indovinata, grazie ad un lavoro sulla fotografia fondamentale per peso specifico all’interno del corto. Il film di Zannone risulta così scorrevole seppur eccentrico; la mano del regista imprime, pur non lasciando un’aura d’originalità, ma lascia – pecca più rilevante – che i due punti più deboli della materia influiscano in maniera decisiva sul risultato finale: il primo è la recitazione, un macigno sull’attenzione dello spettatore, che lo molesta con la sua artificiosità, si appropria inopportunamente del suo sguardo; l’altro è da andare a ricercare in sede di scrittura, dove un paio di snodi narrativi avrebbero meritato maggior accuratezza. Malgrado le imperfezioni però Zannone porta a termine un lavoro da non buttar via ma su cui riflettere, in attesa del salto di qualità, artistico e di minutaggio.