Better Call Saul / Premiere
Con una doppia premiere arriva lo spin-off di Breaking Bad e non delude le attese, promettendo di diventare qualcosa di più che un palliativo per la nostalgia dei fan
Aneddotica cinematografica vuole che John Belushi, a lavoro sul set di Animal House, insistesse spesso con John Landis per dare al suo personaggio Bluto maggior spazio. “Fa ridere”, diceva, “quindi dobbiamo averlo in più scene”. Saggiamente Landis controbatteva allo scatenato amico che sì, Bluto era certamente un personaggio esilarante, ma il suo impatto si sarebbe affievolito di molto se gli spettatori lo avessero visto ogni cinque minuti sullo schermo. Per mantenere tutto il suo potere comico doveva comparire soltanto in pochi momenti della pellicola.
Non ci vuole tanto per ritrovare in questa storia uno dei grandi rischi affrontati da Vince Gilligan nella creazione di questo Better Call Saul, spin-off di Breaking Bad incentrato sul grottesco ed iconico Saul Goodman, interpretato con perizia crescente da Bob Odenkirk. Infatti, nonostante Saul avesse acquisito spessore e tridimensionalità nel corso della saga dedicata a Walter White, resta il fatto che il suo personaggio è stato pensato ed utilizzato sempre come spalla, aggiunta trasversale alla narrazione. Da qui a farne protagonista assoluto la cosa può non essere così automatica.
Un secondo punto particolarmente critico è poi quello del quid della serie, del suo perché. In un’era di intensa riscrittura seriale, ormai più cinematografica che televisiva, annunciare uno spin-off di una serie originale e culto come Breaking Bad è stato sicuramente un rischio, specie per il gigantesco hype che ha generato (la prima puntata negli States è già record, miglior series premiere nella storia della tv via cavo americana). Già confermata per una seconda stagione (che porta ad un totale di 23 episodi) Better Call Saul quindi non può permettersi di essere soltanto un riciclo di atmosfere e personaggi, un covo per la nostalgia dei fan rimasti orfani. Il compito di Gilligan e Peter Gould (co-creatore della serie e non a caso sceneggiatore della puntata Better Call Saul della seconda stagione di Breaking Bad) è quindi quello di bilanciare la filiazione alla serie madre con una propria originalità, pena un ritorno di fiamma dagli esiti disastrosi. Fortunatamente da quanto visto sinora possiamo dire che l’operazione pare decisamente riuscita.
“I’m the best lawyer ever”. Nonostante Better Call Saul inizi con un flashforward tipicamente alla Gilligan, in cui vediamo il nostro nascosto e braccato ma soprattutto nostalgico per i fasti di un tempo, presto la serie svela la sua grande intuizione: al centro della storia non abbiamo Saul Goodman ma Jimmy McGill, onesto avvocatucolo da due soldi ad un passo dal fallimento, fratello di un famoso forista decaduto per la fobia delle onde elettromagnetiche. Un quadro desolante e privo di futuro, all’interno del quale il personaggio McGill/Saul ha occasione di arricchirsi e di acquistare una dimensione a tutto tondo. Certo, nella sua parabola criminale di ascesa e caduta ritroviamo direttamente il percorso intrapreso da Walter White, tuttavia qui non si tratta di calco ma di fedeltà tematica. Ancora una volta Gilligan torna ad attaccare quel sogno americano che promette vanamente il successo per chiunque si ammazzi di duro lavoro,mentre invece favorisce fuori dai riflettori chi il successo ha deciso di strapparlo con la violenza e il crimine. L’americano medio tratteggiato da Gilligan pare avere davvero poche speranze, schiacciato dalle aspettative capitalistiche e mediatiche di una società che invoca il successo (ricordate Walt che compra le macchine di lusso?) e una realtà concreta che offre invece ben poche occasioni. Better Call Saul si accoda in questo senso a Breaking Bad, di cui recupera anche elementi stilistici e di forma tali da garantire una fattura di elevata qualità, tuttavia trova il suo elemento di contrasto in quello che poteva essere il grande punto debole, McGill/Saul appunto. Better Call Saul, almeno a giudicare da questo inizio, si configura come una serie ibrida, carica di humour nero ma capace di suscitare disagio per la violenza cieca di un mondo stupido e brutale (la punizione nel deserto). Ancora una volta abbiamo un cittadino medio inserito gradualmente nell’orrore del mondo criminale, ma la natura comica del personaggio fa sì che, al contrario di Breaking Bad, a dominare sia soprattutto il senso del grottesco. In molte scene Better Call Saul arriva a ricordare il cinema dei fratelli Coen, per l’incontro tra uno sguardo farsesco e una realtà brutale e cieca nella sua sete di sangue. L’inserimento del personaggio di Tuko in tal senso è perfettamente funzionale a diramare questo senso di spaesamento, cui contribuisce la regia sempre distaccata e clinica voluta da Gilligan.
Il risultato di questa doppia premier è allora più che positivo. Restano all’orizzonte i dubbi per una struttura generale che pare molto vicina a quella vissuta da Walter White, tuttavia un maggior senso del grottesco assieme alla netta umanità aggiunta al personaggio di Saul potrebbero permettere alla serie di diventare qualcosa di grande in sé, indipendentemente dall’eredità di Breaking Bad.