Biografia di un amore
Un documentario sugli italiani di oggi e su quelli di quasi cento anni fa, che racconta le ambizioni, la coscienza e la solidarietà di un popolo e la loro radicale trasformazione
Una storia privata che dura poco più di nove mesi, un’altra capace di raccontare quasi un secolo d’Italia. Germano Pacelli è un artista di novantun anni e vive a Maresca, un piccolo comune in Toscana. La prima inquadratura notturna del documentario di Samuele Rossi rimane materializzata e soavemente pesante, come le sculture del protagonista, per tutto il film: rispettosa e invisibile, dalla porta della camera da letto la macchina da presa riprende l’uomo al capezzale della moglie in fin di vita, dopo che l’Alzheimer le ha progressivamente rubato i ricordi negli ultimi tre anni. Biografia di un amore comincia dal lutto di un ex-partigiano che conserva ostinatamente attraverso le sue opere la memoria di un conflitto che in molti sembra essersi dissolta. Lo vediamo ritirare le ceneri di Neliana – un’addetta del cimitero gli chiede se vuole coprire l’urna durante il ritorno a casa ma Germano rifiuta, sorridendo, perché non c’è nulla di cui vergognarsi – e conosciamo il suo universo, dalla famiglia al medico. Ad aprile, tre mesi dopo, recupera l’idea di un progetto da tempo solo immaginato: costruire un monumento alla solidarietà per collocarlo nella piazzetta della chiesa, ritrovo storico per gli abitanti del paese, così da ricordare la liberazione delle montagne di Maresca dai nazisti e il ritorno in paese della popolazione. Consultato il consiglio parrocchiale, troverà l’opposizione di quasi tutti i votanti. Dal prologo e fino all’ultima immagine di repertorio, intanto, le animazioni di Francesca Marinelli e la voce di Lucia Poli trasformano in parole e immagini il diario che Neliana curò durante la malattia per fissare i ricordi, vicini e lontani. Un uso giocoso del bianco e nero, come le moltissime foto della coppia, insieme per ben sessantotto anni, capace di ritrarre un amore lunghissimo e incrollabile segnato dalle escursioni giovanili nei boschi, la guerra, il lavoro da operaio prima in Cecoslovacchia e poi in Svizzera, la nascita dei figli, la passione prima della fotografia e poi della pittura e della scultura.
In concorso al Via Emili@ Doc Fest, quella di Germano è una vicenda descritta senza pietismo che attraverso un’elaborazione del lutto del tutto particolare ci mostra un esempio rigoroso di resistenza. Contro la disperazione, contro l’oblio di una Storia che non possiamo ignorare e, più in generale, contro il vacillare della speranza. A fare da collante inesauribile di un simile slancio battagliero – difficile non sorprendersi in continuazione di come l’estrema e lucida gentilezza di Germano nasconda un carattere indomito ancora pronto ad assecondare l’urgenza creativa e il senso civico – risuonano appassionati i ricordi di Neliana, al quale il regista affida totalmente il passato e il set up visivo e psicologico dei due personaggi. Già, perché grazie a una miriade di istantanee ingiallite e al voice over che accompagna le lunghe sequenze di flashback multimediale, la sposa di Germano sembra essere ancora presente. La Memoria, dunque, intesa sia come unico strumento per scrivere indelebilmente una storia d’amore, sia come fosforo da somministrare in via necessaria e quasi forzosa a una piccola comunità, metafora di un Paese incapace di guardarsi indietro.
Rossi ha il merito di aver scovato un materiale tanto intimo quanto ricco di sfumature socio-antropologiche ed è abile nel farsi da parte, nello scegliere con una sintesi precisa i momenti da mostrare e quelli lasciati immaginare nelle ellissi temporali, stimolando nello spettatore una cooperazione non priva di un’inaspettata tensione; ricorre al parallelismo (Germano cura la propria salute come i suoi compaesani, alla fine, accettano la sua opera) e all’uso simbolico dei soggetti in scena (i bambini alla mostra e quelli che partecipano alle sculture); soprattutto, segue gli eventi che si materializzano fra le sue mani ricorrendo a frequenti primi piani che ci guidano in un immedesimazione costante fatta di soggettive e raccordi di sguardo. C’è poi il piccolo miracolo di aver costruito un’opera preziosa che, riprendendo i fatti narrati in tempo reale (la tensione cui si è accennato deriva dall’impossibilità di prevedere l’epilogo), rappresenta anche il retroscena di un piccolo caso mediatico che quei fatti hanno scatenato. Anche in questo senso, Biografia di un amore riesce ad essere un documentario sugli italiani di oggi e su quelli di quasi cento anni fa, raccontando le ambizioni, la coscienza e la solidarietà di un popolo e la loro radicale trasformazione.