Spider-Man - Un nuovo universo
Il miglior film su Spider-Man dai tempi della trilogia di Sam Raimi: un tour de force impressionante nel Ragnoverso.
Spider-Man è forse l'eroe più fisico della Marvel. Non è solo un personaggio che possiede un corpo alterato nei geni e potenziato nelle abilità, ma è anche quello che sviluppa tutte le evoluzioni della sua azione da superuomo flettendo il corpo nello spazio. L’Uomo Ragno è possessore del gesto semiotico del salto: che sia spinta oscillatoria nella cornice scenica di una metropoli, acrobazia circense o atto di interazione con il palco dell’aria, egli è agente di questa abilità, corpo superoistico per eccellenza. La sua storia, anche nella controparte civile di Peter Parker, è legata non a caso allo scarto della pubertà e alla scoperta dell'adolescenza, dei cambiamenti del fisico. Ogni sua origin story si basa su una parabola di crescita che sovrappone l'evoluzione del corpo alla modifica della psicologia, come convenzionalmente conviene ai racconti di formazione. È questo il primo nucleo estetico ed etico della storia di Spiderman, nucleo che questo Spider-Man - Un nuovo universo comprende, accoglie ed espande con molta più agilità e rigore interpretativo rispetto ai recenti adattamenti cinematografici.
Solo Sam Raimi, nella sua trilogia sul personaggio, era stato in grado di restituire visivamente l’importanza del gesto del supereroe, inventandosi una frustata registica che esplodesse di fronte agli spettatori - il lancio con la ragnatela tra i grattacieli che inaugura in qualche modo l’era dei cinecomic - per trasferire attraverso l'arte in movimento del cinema la potenza fisica che dai fumetti poteva essere intesa ma non completamente vissuta. Nei successivi capitoli, tra alti e bassi qualitativi, la corporeità del gesto ha ceduto il passo a molti altri elementi - dalla gommosità del digitale in cui ogni movimento è elastico che mai si strappa, alla comicità a circuito chiuso a favore di vari target - ignorando la tragicità corporea della storia identitaria di Peter. Questo film di animazione (diretto da Persichetti, Ramsey e Rothman e scritto da Lord e Miller), complesso e a un tempo semplice, ridimensiona le precedenti riduzioni cinematografiche agguantando il precipitato concettuale della tradizione semiotica del racconto di Stan Lee e Steve Dikto e mettendoci sopra un accento folle e imprendibile, che è risultato di grandi ragionamenti e prova di una grande capacità espressiva.
La storia non è solo quella del protagonista Miles Morales – ragazzo afroamericano in preda alla giostra liceale con poche certezze e molte goffaggini, morso da un ragno radioattivo e quindi destinato alle ragnatele – ma anche quella di molti altri Spider-Man provenienti da differenti universi: è il racconto delle origini e la sfida al cattivo nel tempo dei mondi paralleli e dei paradossi spaziotemporali, in cui si mischiano realtà differenti, stili di animazione eterogenei, personalità distinte e punti di vista tra loro lontani. È una delle intuizioni del lavoro dei tre registi: moltiplicare l’identità del supereroe in più versioni, in più corpi, grazie a una storia dai presupposti fantascientifici in grado di rifrangere e moltiplicare le complessità del personaggio. Il complessivo arco narrativo che ne emerge riesce ad indagare le difficoltà della crescita nel mondo, le tragedie della vita, il cammino identitario e il bisogno di uno scopo simbolico, attraverso però una forma inedita e creativamente audace che prende strade nuove.
Livellando il racconto su una tecnica di animazione mai vista – che la Sony sta cercando di brevettare –, il film non solo si esalta ma si solleva di peso, raggiungendo lo stato dell’arte per quanto riguarda personaggio e tecnica. Una giustapposizione di computer grafica, animazione a mano libera, grafica dei fumetti e elementi della street art capace non solo di orchestrare una superficie visiva di profondità stordente (fatta di linguaggi differenti e coerenti nell’insieme) ma anche di intessere un ritmo visuale abbastanza vicino alla tradizione letteraria da riposizionare i contenuti sul piedistallo, spostando l’attenzione sulle caratteristiche del corpo e sulle varie forme di fisicità che sono proprie del supereroe, sulla storia delle sue articolazioni, sulla geometria dei suoi muscoli e delle sue volontà.
Il lavoro animato aderisce alla pupilla come una lente straniante che amplifica i contenuti della storia e dona nuova energia a topoi sfiancati dalla ripetizione dei cinecomic, riconoscendo nel linguaggio grammaticale del fumetto una vasca in cui gettarsi per cogliere nuove forme espressive. Il film è una grande vignetta liquida che si offre spontanea, comica, veloce, in cui anche la grande quantità di riferimenti, organizzati con maestria, si allunga senza forzature e senza occhiolini di troppo. Tutto al film riesce in maniera sincera e assistervi è un’esperienza che vivifica e in qualche modo energizza e fa sentire bene, in parte grazie alla bellezza archetipica della storia di formazione e in parte grazie alla potenza della forma che aggrega temi musicali e immagini per continue folgorazioni in crescendo. Riuscendo a superare per certi versi anche Raimi, che da iniziatore aveva tematizzato il salto e il gesto atletico (straniante e assieme sublime per lo spettatore affascinato e inerme), grazie a un racconto che è nella sua interezza un movimento all’insù, un’espressione organica dell’identità di Spider-Man e dei supereroi in senso lato.