Brawl in Cell Block 99
Vince Vaughn trova il ruolo della vita in un strepitoso film dal nitore classico: un viaggio tra i gironi infernali del sistema carcerario americano.
Discesa negli inferi per Vince Vaughn: un ex pugile che sta per diventare padre è costretto a lavorare come corriere della droga. Quando viene arrestato, il suo boss rapisce la moglie e lo ricatta, obbligandolo ad affrontare un viaggio negli abissi più violenti del sistema carcerario americano.
Si potrebbe riassumere così la trama di Brawl in Cell Block 99, ma non basterebbe a rendere giustizia a questo film dal nitore classico e dalla morale eastwoodiana. S.Craig Zahler ha un’idea di cinema precisa e rigorosa, capace di tenere lo spettatore col fiato sospeso fino allo fine. La stessa messa in scena della violenza si concentra sullo scontro tra corpi pesanti, masse di muscoli e ossa grondanti sudore e sangue. Sono questi stessi corpi a dare respiro ed equilibrio all’inquadratura, a crearne la composizione, a favorirne la coreografia (che non è mai aerea, ma percepisce il dolore, l’attrito di ogni singolo colpo).
L’immagine è sporca, eppure priva dei contrasti cool degli standard fotografici odierni: Zahler avvolge lo spettatore, lo fa precipitare in una narrazione dal ritmo vorticoso, regala splendide sequenze di colluttazione che usano l’umorismo come vero e proprio esorcismo alla violenza. Ci sembra di poter sentire la puzza di piscio, le urla degli energumeni dalle celle vicine, la luce che filtra appena dalla piccola finestrella adiacente. Il tempo dell’azione è reale, non ha bisogno di trucchi o di sovrastrutture, non si inerpica in effettacci, ma restituisce anzi la potenza artigianale del gesto.
Vince Vaughn schiaccia le teste, spacca le ossa, fa strage di corpi mentre affonda la lama nella carne, ma non ha nulla dei personaggi cinici e abietti che abitano tanti action-movie contemporanei. Lui è un duro, certo, ma uccide per necessità, uccide per amore. Si immerge in un abisso di violenza senza fine solo per permettere una vita felice alla moglie e un futuro alla figlia: Zahler fonda la stessa spirale di brutalità su un presupposto narrativo talmente forte, talmente lampante da rendere ogni singola sequenza la tappa di una via crucis. Ma a lui, almeno a lui, delle metafore non frega nulla. La sua ambizione è quella di realizzare puro, strepitoso cinema di genere: a differenza di tanti suoi colleghi elimina dal film qualsiasi riferimento all’attualità, qualsiasi strizzatina d’occhio all’era trumpiana. Torna al cinema, completamente, devotamente, e ne fa un campo di battaglia arso dal sangue e dall’amore.
Vaughn, nel frattempo, trova il ruolo della vita: il suo Eroe è un uomo nel quale identificarsi, con cui empatizzare, come si faceva una volta. È l’uomo buono ma sfortunato che combatte in un mondo di squali. Solo contro tutti, o quasi.
Brawl in Cell Block 99 è allora un film di buoni e cattivi, di luce e di oscurità, di carcere e libertà. È un film innamorato del cinema che fu, che condensa nello sguardo del suo protagonista il volto rassicurante di Bruce Willis, l’etica tutta muscoli e cuore di Sylvester Stallone, ma perfino la concezione sacra della famiglia del Vin Diesel di Fast & Furious. Zahler realizza così un film incredibilmente fisico che si regge tutto sul corpo incredibile di Vince Vaughn – che non si riduce a mero dispositivo cinematografico ma piuttosto a icona vivente. Basti pensare alla sequenza meravigliosa a pochi minuti dall’inizio del film: quando il protagonista scopre che la moglie lo tradisce e inizia a prendere a pugni e calci la sua automobile, fino a disintegrarla. Il primo di una serie infinita, goduriosissima di round letali. È un corpo, il suo, capace di scatti d’ira improvvisa, ma sono il controllo, la calma, la consapevolezza la sua marcia in più. Le cose vanno fatte come vuole lui, perché conserva ancora la capacità di discernere bene e male. Perché vive ancora in un mondo dove esistono le categorie, dove gli ideali non sono tramontati, dove l’azione è sempre preceduta dal pensiero. E da parte nostra non possiamo che tifare per lui, fino alla fine, fermamente convinti che al cinema – almeno al cinema – vince ancora l’uomo.