Jim & Andy: the Great Beyond
Jim Carrey torna a mostrarsi in un documentario dedicato alla lavorazione di Man on the Moon e al cortocircuito identitario che sta alla base della sua creazione.
Chi è cresciuto nel corso degli Anni ’90 ha un innegabile debito nei confronti di un investigatore privato dalle camicie hawaiane sgargianti specializzato nel ritrovamento di animali domestici, di un timido bancario che si innamora della pupa di un gangster e che trova una maschera verde che libera il Mr. Hyde che è in lui, ed ancora di uno scemo che divide l’appartamento con un coinquilino ancora più scemo, creazione dei Fratelli Farrelly, al loro debutto cinematografico.
Jim Carrey ha rappresentato la quintessenza degli anni ’90, un’icona in grado di restituire il fulgore decadente e contraddittorio di quel decennio, da lui iniziato come il primo attore comico a ricevere un compenso da 20 milioni di dollari per l’interpretazione, e terminato con due dei tre ruoli drammatici (The Truman Show, Man on the Moon ed Eternal Sunshine of the Spotless Mind) che gli avrebbero consentito di affermarsi presso quella larga fetta di pubblico che ancora non stravedeva per lui.
E’ in particolare Man on the Moon di Milos Forman a rappresentare per l’attore canadese il punto di non ritorno, a partire dal quale il numero di progetti intrapresi si dilaterà nel tempo e la percezione del pubblico subirà qualche cambiamento. Il biopic che Forman dedica al comico Andy Kaufman nel 1999 è il film in cui Carrey, probabilmente, raggiunge il punto più alto della sua carriera. Costantemente in preda a sdoppiamenti della personalità ed alle prese con personaggi che faticano a reprimere i loro istinti primordiali, Carrey si immedesima completamente con Kaufman: comico morto prematuramente per un tumore ai polmoni con cui condivide il giorno di nascita (17 Gennaio per entrambi), la verve caustica ed istrionica, oltre che una leggenda metropolitana che punta sull’incredibile somiglianza tra i due per sostenere la tesi secondo cui Kaufman si sia sottoposto ad un intervento di chirurgia plastica per rendersi irriconoscibile, e Jim Carrey sia semplicemente l’ennesima sua creazione comica.
Partendo da tali premesse, l’idea di un documentario sulla lavorazione di Man on the Moon, custodito per anni negli uffici di Carrey e finalmente montato e presentato in occasione di Venezia 74, si caricava di particolari e ricche aspettative. Jim & Andy: the Great Beyond-the Story of Jim Carrey & Andy Kaufman with a very special, contractually obligated mention of Tony Clifton (è questo il titolo originale del doc) è una provocazione schizofrenica che mostra come Carrey, durante la lavorazione del film, abbia completamente annullato la propria personalità al punto da parlare di sé stesso in terza persona, pretendendo da Forman di essere chiamato Andy e relazionandosi ai familiari di Kaufman come fosse realmente loro figlio.
A prendere parte a questo gioco di contraddizioni e di rimandi, di una, nessuna e centomila personalità è anche Tony Clifton, personaggio interpretato da Kaufman e Bob Zmuda e ripreso anche da Jim Carrey. «Quando interpreti tanti personaggi, ti rendi conto di essere anche tu un personaggio. Con questo documentario, vivendo di nuovo quella esperienza, mi sono reso conto di tante cose. Io credo che non ci sia un me e credo di non avere un sé. Noi non siamo un ego ma un insieme di idee che ci etichettano. In realtà non esistiamo, è come se fossimo un braccialetto con un insieme di ciondoli che sono le idee che ci etichettano».
La riflessione sulla mancanza di identità della creazione artistica e sullo svuotamento tragico di sé assume contorni ancor più netti in relazione agli ultimi eventi drammatici che hanno caratterizzato la vita di Jim Carrey, traghettato dal ruolo di sovversivo nel cuore di Hollywood ad un autoescluso collocato ai margini del sistema. «Alla mia epoca, io volevo distruggere Hollywood, non partecipare. Deve esserci sempre un aspetto sovversivo. L’onestà è sovversiva, perché se sei autentico è più difficile per gli altri riuscire ad indossare una maschera».
Per Carrey interpretare Kaufman fu una gigantesca seduta psicoanalitica che ha restituito un essere umano differente. Un gigante delicato e dall’animo fragile, in grado di commuoversi per la calorosa accoglienza ricevuta da Venezia. Un Dio fattosi uomo e sceso tra noi comuni mortali.