Partiamo dall’inflessibilità certa del titolo, o meglio del sottotitolo, che con granitica fermezza promette di sposare il gusto del pubblico rosa: la commedia maschilista che piacerà alle donne. Il perché poi resta sospeso tra un’aggettivazione prepotente e del tutto démodé quale maschilista e la scissione tra due generi che si sospettavano oramai fusi, se non complementari, sgommando sull’ipotesi che l’intenzione sia quella di livellarci un po’ tutti. Curato uno sfizio di forma entriamo nell’universo raccontato da Cara, ti Amo…, film visto all’ultima edizione del RIFF e da qui uscito vincitore – in ex aequo con M.A.R.C.O di Alex Cimini. L’opera è il primo lungometraggio di Gian Paolo Vallati, regista finalmente uscito dal tunnel dei meno conosciuti corti che ben promettevano (Maionese a colazione, Il mio amore è di colore). Che la chiave ironica fosse un buon punto di partenza per il regista romano è assoluta certezza, e buona prova ne hanno dato per l’appunto i suoi precedenti lavori che, per la portata poco impegnata delle loro pretese, possono dirsi riusciti esperimenti di genere, gradevoli e ben misurati. La faccenda poi, della prova con il film a pieno titolo, si va complicando rovinosamente.
L’idea, o forse la pretesa di giocare una commedia all’italiana sullo scontro tra universo maschile ed eco femminile non è stata del tutto amara, considerato l’acume di un linguaggio che non tradisce completamente i fasti brillanti del vezzo comico e le caratterizzazioni ben calibrate dei suoi personaggi rigorosamente perdenti. Quel che fa fatica ad ingranare è proprio l’impalcatura inattaccabile di una sceneggiatura che tenga il ritmo dal principio al buio dei titoli di coda; in Cara, ti amo abbiamo infatti uno script che arranca di sketch in sketch da un’inquadratura all’altra, prediligendo la pace degli interni domestici o le ozpetekiane tavole condite di macrobiotico – eccezion fatta per il luogo comune del campo da tennis o del gazebo trasteverino – per meglio mimetizzare una debolezza imperdonabile di fondo: quella di un plot mancato. Vallati ha strizzato l’occhio alle nevrosi pendenti sulle infelicità maschili di mezza età, crogiolandosi nella sua romana appartenenza e nel fatto che, per una ragione social popolare più che cinematografica, sarebbe stato comunque apprezzato. La cricca di quarantenni insoddisfatti e disillusi in fatto romantico non calca le orme de I Vitelloni (ricordiamo pure un certo legame di Angelo Orlando con Fellini, La voce della luna); sorridiamo per cui ai carboncini che disegnano una bozza, ma con rammarico constatiamo che non permea nulla al di là del già noto. La postilla finale la lascio alla parole del regista, che ha “prediletto la videoproiezione in digitale alla pellicola”. Pur tifando per la celluloide fosse anche per una mera questione di fascino, è indubbio che il digitale sia in grado di soppiantarla; quel che lascia perplessi nel caso di Cara, ti Amo… riguarda la qualità della fotografia che, digitale o meno, è morta per 83 minuti tondi.