Alcarràs
L'orso d'oro al 72° Festival del cinema di Berlino di Carla Simón è un pulsante "romanzo familiare" su un mondo contadino in dissolvimento, un film di singolarità, politico e insieme intimo, che apre su ogni personaggio uno sguardo sul mondo e sul tempo.
Catalogna rurale, villaggio di Alcarràs. Una famiglia di contadini vive quello che sarà il loro ultimo raccolto. Il pescheto dei Solé deve infatti essere riconvertito in area per pannelli fotovoltaici e i contadini non possono farci nulla: il terreno non è il loro, non ufficialmente, perché nessun contratto di proprietà è mai stato firmato. Restano soltanto vecchi accordi mai scritti tra generazioni al tramonto. Gli eredi della famiglia che ha concesso i campi in usufrutto ai Solé non ne vogliono sapere. Meglio cavalcare l’onda delle politiche europee e guardare al progresso, soprattutto quando ciò significa sicuro guadagno economico. Poco importa che questo comporti la distruzione di un’intera attività familiare. Così, a nonno, figli e nipoti non resta che rimboccarsi le maniche per provare a ricavare il ricavabile da questa ultima stagione.
In Alcarràs, Orso d’Oro alla 72ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, tre generazioni si confrontano con lo sbiadire di un passato fatto di riti, tradizioni, lotte contadine impresse in gesti ormai automatici ma carichi di significato, mentre davanti a loro avanza un futuro che non promette nulla. Inevitabile allora che il secondo film di Carla Simón sia, al di là delle sue chiare implicazioni politiche, tutt’altro che concilianti, anche un film di singolarità umane e sentimentali che, volenti o nolenti, dovendo rispondere al cambiamento, sono costrette a interrogare sé stesse attraverso il ruolo della memoria e dell’abitudine. L’aspetto più riuscito, la vera cifra di Alcarràs, è il modo in cui Simón riesce a costruire queste singolarità e a dare loro spessore, aprendo su ogni personaggio di questo “romanzo familiare” uno sguardo sulla fine di un mondo e su quello che questa rappresenta per ciascuno di loro, mentre ogni tassello del mosaico intreccia e stratifica alle altre le sue traiettorie umane, in un’epopea viva e vibrante. Diverso è allora il modo in cui vivono questi ultimi mesi di raccolto i giovani della famiglia Solé da quello con cui lo vivono gli adulto, così come diversa è la spensieratezza infantile della piccola Iris, l’unica ancora capace di trasfigurare con la fantasia la realtà agreste in gioco e meraviglia, dal disagio adolescenziale del fratello maggiore Roger, abituato e affezionato ai ritmi di una vita contadina che però sembra già troppo sbiadita agli occhi di chi, come lui, può guardare a un altro futuro, ancora in cerca del proprio posto nel mondo. Senz’altro è sulla generazione di mezzo, quella del padre Quimet, le stanche spalle su cui si regge la fatica economica dell’intera famiglia, non a caso figura al centro di un crollo nervoso impotente, che le trasformazioni imposte dalla riconversione ecologica stringono in modo più problematico e pressante le loro maglie, mentre ai più anziani non è rimasto che il conforto dei ricordi, nell’incapacità di comprendere un presente che sembra aver dimenticato la vecchia solidarietà tra esseri umani, capace di superare persino la lotta di classe.
Per gli uni e per gli altri, l’estate che si sta per concludere coincide con la fine della vita come l’hanno sempre conosciuta. È questo sentimento di ineluttabilità, più o meno consapevole a seconda di chi lo vive, ad accomunare i membri della famiglia, riuniti sotto uno stesso tetto in un pomeriggio di pioggia a riesumare vecchie canzoni contadine contro i padroni di ieri, il cui fuoco politico oggi trascolora in dolce elegia funebre di un mondo che tra poco esisterà solo nel ricordo. Il canto di protesta si trasforma in una melodia nostalgica, sintomo dell'impotenza verso una realtà politica ed economica dai contorni meno netti, in cui il progresso collettivo non per forza coincide con la felicità del singolo. La chiave politica non è disgiunta dalla dimensione individuale ma quest’ultima diventa parte integrante per capire la prima. Simón, che ben conosce quel mondo contadino e il destino cui sta andando incontro, non fa proclami, né tantomeno si illude di poter trovare una soluzione. Il suo è semmai un quadro pulsante, filmato con i tempi di un’antica ritualità pronta ad essere spazzata via in pochi secondi, che mette in luce le contraddizioni contemporanee, in cui le politiche green sono al contempo una minaccia per la conservazione del mondo contadino e della sua memoria.